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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyDom Gen 23, 2011 9:36 pm

Lo scrivo qui perchè non penso che ci sia un topic adatto. Oggi pomeriggio non penso di tornare in tempo per la riunione in chat, quindi, se potete, alla fine scrivete un resoconto generale della discussione. Grazie mille in anticipo! Very Happy [/quote]


C'era una riunione?? O_O
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyDom Gen 23, 2011 9:37 pm

Flusk ha scritto:
Andrew Dr. House ha scritto:
Black ★ Star ha scritto:
Andrè! Devi leggere e aggiungere un tuo pezzo o mi offendo xD

Se me lo chiedi così non posso tirarmi indietro! XD
Bravo! Così ti vogliamo!

Lo scrivo qui perchè non penso che ci sia un topic adatto. Oggi pomeriggio non penso di tornare in tempo per la riunione in chat, quindi, se potete, alla fine scrivete un resoconto generale della discussione. Grazie mille in anticipo! Very Happy


C'era una riunione?? O_O
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyDom Gen 23, 2011 10:16 pm

Ragazzi se vi connettete alla chat...e cliccate su archivi...c'è tutta la conversazione di oggi pomeriggio!
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyDom Gen 23, 2011 10:33 pm

Director ha scritto:
Ragazzi, buona domenica,
ho appena letto il topic aperto da Micaela " Matteo Musano, il Principe dei nostri cuori..."...ho ancora gli occhi gonfi dalle lacrime per la struggente preghiera che ha scritto nostra Micaela...il 14 gennaio sono stato lì a Ginosa a promuovere Scrivoanchio.it....non so se Matteo era lì in aula ad ascoltarci, non so se era già successo la tragedia...di certo, però, so che ha degli amici meravigliosi,unici... amici che tutti vorrebbero avere al proprio fianco nei momenti importanti della propria vita ...e Lui, certamente, da lassù non potrà che essere orgoglioso di questi ragazzi...

Vi invito a leggere la preghiera di Micaela e, se volete e ci credete, lanciare al cielo anche voi una preghiera sul Forum...sicuramente sarà un momento diverso di frequentare il Forum.

Grazie

Mino

P.S.
Lasciate questo post per ultimo ed i tutor lo pubblichino su tutto il Forum almeno per oggi.
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyLun Gen 24, 2011 6:07 pm

Nulla di speciale,solo per dare il mio piccolo contributo al racconto Smile Embarassed
Mi sono collegata a Carla,come avevate detto nei commenti che ho letto Smile


<< Potrei rivolgerti la stessa domanda. Sono qui solo a prendere un caffè,ci vengo spesso.>>
Non sapevo come replicare. Era una risposta che dovevo aspettarmi. In quel momento provai ansia,confusione,tormento. Volevo rispondere,rassicurarla,ma vedere quegli occhi castani che mi fissavano dubbiosi,non mi lasciava neppure la forza di aprire bocca.
<<John,stai bene? E dov'è mio padre? Non dovevi vederti con lui?>>
Volevo scomparire. Andarmene,fuggire via. Eppure ricomposi la mia espressione.
<<Stavo appunto andando da lui,quando mi sono ricordato di non aver fatto colazione,e questo era il bar più vicino. Ma ora non posso perdere tempo,mi starà aspettando. Ci vediamo stasera amore. >>
Non le diedi nemmeno il tempo di salutarmi,scappai da quel luogo e mi nascosi lì vicino,a riflettere. Non potevo deludere Theresa. Ma il mio mandante mi avrebbe trovato,e sicuramente avrebbe voluto vendicarsi. In fondo il lavoro era ben pagato e dovevo portarlo a termine. Per di più scappare era da vili,ed essere tale non è mai stata una mia caratteristica.
Quindi mi feci forza e attesi nascosto nell'ombra. Avevo deciso di aspettare che mia moglie uscisse dal bar,prima di fare qualsiasi cosa. Poi vidi la donna incappucciata aprire la porta d'ingresso del locale. Dovevo agire velocemente. Dovevo ucciderla lì. Le mie mani,sudate,tremavano nel momento in cui sparai quel colpo. Quel maledettissimo colpo. Come potevo sapere che sotto quel cappuccio nero si nascondeva la mia Theresa? Me ne accorsi troppo tardi. Quando,dopo essermi accertato che nessuno mi avesse visto sparare,mi avvicinai al corpo fingendomi un passante. E lei era lì.
Ero fermo dinanzi a ciò che rimaneva della donna che amavo,e non capivo come fosse accaduto. Come avevo fatto a non riconoscere quel cappotto,quel cappuccio nero? Era Theresa! Ma lei centrava qualcosa in questa storia? Le mie domande svanivano di fronte alla realtà. Avevo ucciso la mia più grande ragione di vita. Avevo ucciso me stesso. Il resto era solo un bisbiglio lontano.
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyLun Gen 24, 2011 10:02 pm

brava giorgia! Smile
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyLun Gen 24, 2011 10:04 pm

Il viaggio di ritorno era stato tormentato dai miei vecchi pensieri, dai rimorsi di coscienza che in tutti quegli anni non mi avevano mai abbandonato. Sull'ultimo tratto dell'Oceano l'aereo aveva ballato maledettamente per diversi minuti prima di trovare una più tranquilla rotta di avvicinamento verso il piccolo aeroporto della mia mai dimenticata città. Quelle turbolenze in mezzo a montagne di nuvole nere avevano scatenato in molti di noi comportamenti irrituali, animaleschi e in alcuni addirittura ridicoli. C'era chi chiudeva gli occhi ed invocava sottovoce un Dio amico e compassionevole; c'era chi, invece, rideva istericamente cercando di esorcizzare il senso di terrore che lo stava attanagliando e chi, come me, che in quei pochi minuti faceva il bilancio della propria vita... (il Guru)
Soltanto in quel momento si capiscono davvero gli errori fatti, le belle azioni e gli attimi mancati. Solo ora ti rendi conto che la vita è meravigliosa, che ogni attimo deve essere vissuto al massimo, sorridendo e godendosi anche i piccoli attimi. Una farfalla che stranamente ha scelto il tuo braccio come trespolo su cui stare, perchè emana un odore di dolce( forse quella caramella al miele che si è appiccicata sulla giacca), uno sprazzo di cielo azzurro in una giornata nuvolosa, il vento giocherellone che ti ha scompigliato i capelli e ti ha reso buffo/a, mentre tu cercavi di guardare sottecchi la persona amata, ma che non ricambia i tuoi sentimenti. Tutto mi passò per la mente, dai miei primi anni, all'adolescenza. Dal mio primo brufolo, al momento in cui sono diventato/a grande. Una cosa in particolare mi recava rimorso nel cuore,il non aver dato il mio ultimo addio alle persone a me care, il non aver detto ti amo al mio unico amore, il lasciare sole le persone che mi amano...gli amici, i parenti....quanto male fa al mio cuore tutto questo...ed intanto una lacrima scende, solitaria, come sono io su questo aereo. (Sarita)
Aereo maledetto, diretto in un posto maledetto. Jacqueline, nata senza preavviso, piccola e silenziosa. Un essere senza pretese, troppo fragile per far rumore. Jacqueline con quegli occhi trasparenti, velati e poi improvvisamente limpidi, e quella assurda voglia di ridere. Una risata e poi silenzio. E sarà forse silenzio ancora e ancora, solo silenzio, in quella stanza dove la luce si fa beffe della disperazione e i tentati sorrisi umiliano la speranza. Non farlo ti prego, per favore, me, non lei.
Guardo fuori. Accanto a me la luna, impressionante. Solo luce riflessa dicono. Eppure, la notte in cui nacque Jacqueline, ne sono assolutamente certo, la luna brillò! (Lulu)
Non so ben spiegare come, quando o perchè, ma chiusi gli occhi. Fu l'errore più grande della mia vita, perchè se prima avevo un piccolo appiglio alla realtà che mi impediva di sprofondare in me stesso, ora non c'era più. Buio, sangue, vittime e armi: tutto ciò aveva segnato la mia miserabile vita. Alcuni mi avrebbero definito un cacciatore di taglie, un assassino, alcuni più semplicemente un sicario, prendete per buona la definizione che preferite, ciò che contava in quel preciso istante non era dove sarei andato dopo la morte: no, non mi importava. Mentre sprofondavo nelle mie viscere in cerca di qualcosa di umano, rabbrividii ricordando lo sguardo docile e innocente di Theresa. I suoi occhi marroni mi avevano seguito ovunque da quella sera d'estate in cui la uccisi a bruciapelo, sempre velati di orgoglio e onore. La sua unica colpa era quella di essersi trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e io non mi ero mai lasciato influenzare dalle amicizie nel lavoro. Non ero mai potuto andare alla sua tomba, non avevo mai versato una lacrima, non potevo permettermelo. Suo padre lo sapeva, e non me lo aveva mai chiesto, neanche quando mi aveva scoperto con le mani macchiate con il sangue di sua figlia. In silenzio pregai per quell'anima strappata alla vita dalla mia pistola. E, ironia della sorte, era proprio lì che stavo portando mia figlia, da quell'uomo che era cresciuto con me, che mi aveva aiutato sempre, e al quale io avevo solo strappato il suo unico amore senza mai chiedere scusa.
Se fossi sceso sano e salvo da quell'aereo, avrei preteso per Jacqueline una vita diversa, umana, degna di questo nome. VITA. (_Giuci_)
Una voce squillante ruppe il flusso dei miei pensieri dolorosi.
"L'aereo AZ480 è atterrato. Si prega di slacciare le cinture, grazie."
Avevo sempre odiato le hostess. Le loro vocine squillanti e le loro maniere affettate mi avevano sempre, estremamente irritato.
Eppure stavolta mi ritrovavo sollevato nell'udirne l'avviso, così semplice e chiaro.
Cosa stava succedendo? Dov'ero diretto? Dove le mie mani sporche di sangue?

Slacciai la cintura con una mano, e con l'alta scostai i capelli sudati dalla fronte. Il mio abito elegante faceva letteralmente a pugni con l'espressione sconvolta e decisamente poco professionale che, ne ero certo, il mio volto aveva assunto.
Voltai il capo verso la bambina seduta al mio fianco. Era bella, esile, la carnagione chiara, i capelli color della paglia. Le sfiorai la manina candida, e lei rabbrividì. Aveva gli occhi chiusi, probabilmente dormiva, ed un paio di ciglia folte e chiare nascondevano due occhi meravigliosi. Il colore di quegli occhi, io non lo ricordo più.
Dove sei, Jacqueline? Io non ti vedo più. (Lunastorta)
"Siamo arrivati...?" Mi domandò con la sua vocina assonnata, stropicciandosi gli occhi con le mani chiuse a pugno. Tirai un lungo sospiro abbandonando per un istante il vortice dei miei pensieri, e voltandomi verso di lei abbozzai un sorriso che avrebbe dovuto rassicurarla.
"Sì, siamo arrivati." Ripetei lentamente, come una liberazione, e stringendo la fredda mano di Jacqueline la invitai ad alzarsi.
Quando fummo finalmente fuori dall'aereo tirai una boccata d'aria fresca, concedendomi un istante di relax. Ce l'abbiamo fatta, pensai.
Niente più nascondersi, niente più mentire, niente più fuggire...
C'eravamo solo io e la mia bambina, soli in una città contemporaneamente nuova e conosciuta.

Sarebbe bastato a cancellare i miei peccati? Era davvero possibile ricominciare?
Cancellare il passato in cerca di una nuova vita...
Era tutto ciò che desideravo, perchè almeno lei potesse vivere felice.

Presi a camminare muovendo lenti e pesanti passi, seguiti da quelli rapidi e allegri della bambina che tenevo per mano, che prendendo tutto come un gioco si ostinava a seguire il ritmo del mio passo. Lì per lì sorrisi alla cosa, poi ebbi paura.
Non imitare tutto ciò che faccio, Jaky. Papà non è una brava persona.
"Jacqueline non vede l'ora di giocare con il nonno!" Dichiarò lei felicemente, e io celai la mia angoscia dietro un teatrale sorriso.
"Non è bene parlare in terza persona..." "Ma a Jacqueline piace!"
Sbuffò, proclamando silenziosamente la fine di quella discussione. Era tanto testarda quanto fragile, la mia Jacqueline. Tanto astuta quanto dolce, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi...gli occhi...

Li osservai bene, quegli occhi, riscoprendoli marroni. E allora serrai i denti distogliendo subito lo sguardo; dicono che le iridi marroni siano le più comuni, ma quello sguardo l'avrei riconosciuto tra mille.

Jacqueline era tanto testarda quanto fragile, tanto astuta quanto dolce, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi marroni di Theresa. (Black Star)
"Cosa ci fai qui, John?". Inutile dire che la freddezza nel suo tono di voce mi fece sentire uno stupido, un completo idiota e una feccia umana, ma me lo aspettavo.
"Buonasera, Karl", dissi a testa bassa e stringendo la mano di Jaky, che avevo fatto nascondere dietro di me. Non perchè non mi fidassi di lui, ma per precauzione. Regola N. 1 per la sopravvivenza nella mia vita: NON lasciare mai nulla al caso. Sentendo che batteva un piede, chiamai a raccolta tutte le forze che avevo e alzai lo sguardo, incontrando la sua espressione truce. Dai suoi occhi uscivano fiamme color nocciola, che mi entrarono nel corpo paralizzandomi completamente. Non era cambiato molto nel corso di questi 4 anni. Stessi capelli scompigliati, stessi zigomi alti e labbra serrate dall'odio viscerale che provava per me.
"Da quando questa formalità con me? Eri o no il mio migliore amico?". Non risposi, perchè sapevo benissimo dove voleva arrivare: ferirmi nell'orgoglio. risparmia la fatica Karl, è già successo
"Rispondi", mi intimò serrando ancora di più le labbra.
"Si".
"E allora come hai potuto ucci...". Lo fermai e stringendo la presa feci vedere la mia bambina, sua nipote.
Paura, stupore, rassegnazione, odio e un barlume di tenerezza gli passarono sul volto in pochi istanti. Guardandomi negli occhi capì, e chiamò una ragazza (la sua compagna presumo) che prese Jaky e la portò nel piano superiore. Karl si girò e io lo seguii, notando che il dolore non lo aveva intaccato nel fisico. Mi avrebbe potuto stendere in un momento, se solo avesse voluto.
Così fece. Senza farmene neanche rendere conto mi atterrò con un pugno e mi piazzò un coltellino sulla gola, spingendo leggermente la lama.
"Cosa vuoi da me, John? Ti ho dato la mia amicizia un tempo, la MIA fiducia. Non ti è bastato vero? eri arrivato a 40 anni e non avevi una moglie, e io ti ho affidato MIA figlia...la mia Theresa, e come mi hai ripagato? Lo so io, portandomela via. aveva 19 anni John, capisci? Era un rischio affidarla a te, ma mi sono fidato. Beh non succederà più". Lo lasciai sfogare e trattenni il respiro. Quando ebbi la certezza che non mi avrebbe ucciso, gli dissi 4 parole che non avevo mai detto prima, a nessuno, neanche a lui.
"Ho bisogno di te" (_Giuci_)
Karl mi guardò negli occhi come non aveva fatto mai, dopo quel dannato quindici agosto di cinque anni fa.
Mi guardò, ed io rividi, in quelle intense iridi color ebano, il volto meraviglioso di Theresa.
La rividi bella, luminosa, nel giorno del nostro primo incontro. Danzava, Theresa, lasciando attorno a sé una scia di profumo dolciastro, facendo volteggiare da una parte all'altra del palcoscenico i suoi soffici capelli dorati. Volava nell'aria, Theresa, come una farfalla leggera. Il suo vestito scarlatto mi ricordò quello di Beatrice nel Purgatorio dantesco.
John, perché mi guardi così?
Rividi i suoi occhi, gli occhi di Theresa, gli occhi di mia figlia. Rividi Theresa sonnacchiosa; Theresa nervosa il giorno prima degli esami di maturità; Theresa emozionata la nostra prima volta insieme.
Dio, John, sei sbronzo...
Theresa meravigliosa, splendida nelle sue maniere da bambina; Theresa candida, trasparente come i vetri della casa che avremmo comprato assieme; Theresa impaurita, troppo giovane per diventare madre.
Allontanati, ti prego, mi fai paura...
Theresa piccola e grande; Theresa fragile e forte; Theresa.
NO, JOHN!
Theresa, ti prego, non far urlare il tuo ricordo più nella mia testa. Non potrei sopportare altro dolore.
Sto continuando a sprofondare nel mio lugubre Inferno.
(Lunastorta)
E quando ormai ero entrato in un vortice nero e buio dal quale difficilmente credevo di poter uscire fuori, ecco che vidi il volto del mio piccolo angioletto. Jacqueline. Lei, era sempre stata lei a darmi la forza di poter andare avanti, la voglia di ricominciare a vivere, la voglia di donarle una vita diversa, migliore da quella che attualmente le stavo offrendo io. Era stata lei a infondermi la forza di prendere una decisione così dolorosa e sofferta.
"Ti prego aiutami" - dissi a John - "ho bisogno di te". Mai come in quel momento la voglia di chiedere aiuto era stata tanto forte. Pensavo che chiedere aiuto volesse dire essere debole. Non avevo chiesto aiuto a nessuno, anche nelle situazioni più difficili e dure della mia vita, avevo preso decisioni solo ed esclusivamente da solo, senza il consiglio o l'incoraggiamento di nessuno. Potevo ancora chiamarla VITA, dopo tutte quelle atrocità che avevo commesso, dopo aver strappato la vita a tantissime persone. Quella era in assoluto la prima volta che chiedevo aiuto, e non ero sicuro che John me lo avrebbe dato.
Mentre il suo sguardo era fisso su di me, le lacrime cominciarono a scendere giù dai miei occhi. Ecco, provavo una cosa nuova. Anche il pianto era stato sempre per me un segno di debolezza. Ma ora era tutto diverso. Volevo sfogarmi, e di certo non potevo farlo con il mio angioletto. Non volevo rattristarla. John mi guardò con una espressione preoccupata e allo stesso tempo enigmatica. Sicuramente vedendomi in quello stato si stava chiedendo cosa fosse successo. In un certo senso mi sentii sollevato. Voleva dire che nonostante il dolore che gli avessi arrecato uccidendo Theresa, la nostra amicizia non l'aveva dimenticata. Di questo gli fui grato. Non penso che se mi fossi trovato al suo posto sarei riuscito a perdonare una cosa del genere. Con un filo di voce, probabilmente per non farsi sentire da Jacqueline e dalla sua compagna mi disse:"Karl che succede?". Le parole fecero fatica a uscire dalla mia bocca. "L'altra settimana Jacqueline non si è sentita bene ed è svenuta. Per vedere a che cosa fosse dovuto le ho fatto fare delle analisi" - non riuscivo più a continuare - "le hanno diagnosticato una forma iniziale di leucemia". Le lacrime non smettevano più di sgorgare dai miei occhi.
John mi guardava esterrefatto, era rimasto senza parole. "E' ancora piccola" - gli dissi - ha solo nove anni, come faccio a dirle che ha una malattia grave? Come faccio a trovare le parole giuste per parlarle?". John mi rispose "Sei sicuro che sia leucemia? Hai fatto rifare le analisi?". Gli risposi di si.
Come farei a vivere senza di lei, senza quei due grandi occhioni marroni che mi guardano, senza la sua dolce voce che mi chiama e il suo viso che mi sorride?. (LaDyF)
Karl quella notte mi ospitò. Non volentieri, certo, ma disse chiaramente che non avrebbe permesso che una bambina, quella bambina, dormisse in un albergo qualunque. La mia stanza e quella di Jacqueline erano separate solo da due porte, ma a me sembravano già troppe. Nessuno poteva separarci. Nessuno poteva separarmi dall'ultima cosa che mi era rimasta di lei.
"Papà, me lo dai il bacio della buona notte?", come si poteva essere così attivi dopo una giornata così stancante ancora lo dovevo capire.
"Certo!"
Mi chinai sulla testolina delicata e le posai un bacio dolce sulla guancia.
"E me la racconti una storia?", pessima richiesta. Fa troppo male ricordare la propria, di storia; figuriamoci quella degli altri!
"Lo sai che non sono bravo...".
"Allora te la racconta Jacqueline!".
"Sentiamo", sorrisi indulgente e mi preparai a chissà quale assurdo viaggio nella mente di una bambina troppo fantasiosa.
"Non è di Jacqueline, però... La racconta la maestra quando siamo distratti. Dice che un signore che stava sempre a guardare il cielo un giorno era talmente distratto che non vide una buca e ci cadde dentro. Dice anche che non dobbiamo sempre stare con il naso all'insù altrimenti poi cadiamo in una buca...Ma ci sono buche così grandi in città?".
Jacqueline, Jacqueline. Sei la mia più grande domanda e la più esauriente risposta. E io passo troppo tempo a guardare il cielo. Sto per cadere in una grande buca. Ma se mi tieni tu la mano e mi guidi per la strada, di sicuro non cadrò.
Ti prego Theresa, perdonami. Solo per un po' dovrò smettere di ascoltare il tuo grido. Non posso permettere che l'ultima cosa buona che è rimasta di noi cada insieme a me. Devo proteggerla dal mostro bianco che sta in agguato nella buca e si chiama leucemia. Poi ti raggiungerò nel dolce oblio. (Maria Grazia)
Mi alzai dal letto di scatto, quella notte, risvegliato dalla voce di Jacqueline che mi chiamava, due porte e un Inferno più in là della mia camera. Infilai frettolosamente le ciabatte e corsi da lei, come facevo da qualche tempo a quella parte ogni singola notte - credo da quando la leucemia aveva attecchito nel suo povero corpicino.
Come di consueto, era seduta sul letto, con il mento sulle ginocchia raccolte contro petto. Era scossa dai brividi, il sudore le imperlava la fronte, respirava affannosamente.
Sino a quando non era svenuta, mi ero illuso che tutto quel sudore e quella fame d'aria che dimostrava non fossero sintomi e questo, forse, avrebbe ostacolato - se non impedito - le cure per mia figlia. Se lei avesse abbracciato la sua mamma troppo presto, io non me lo sarei mai perdonato.
"Papà, Jacqueline ha fatto un brutto sogno..." sussurrò quando accesi la luce e chiusi la porta dietro di me nel tentativo di non disturbare ulteriormente Karl e la sua compagna. Mi sedetti sul bordo del suo letto e le presi una mano. Era orribilmente bagnata.
Aveva davanti mia figlia, tremante, fradicia di sudore e ansimante come l'avevo avuta davanti per tante altre notti prima di quella, e soltanto la settimana scorsa ho avuto il coraggio di portarla in ospedale, quando ha perso conoscenza tra le mie braccia e ho sentito il suo cuoricino palpitare troppo freneticamente.
"Non ti preoccupare, adesso c'è il tuo papà qui con te ed il brutto sogno è sicuramente fuggito via" la rassicurai, allungando la mano libera ad accarezzarle la fronte umida.
Jacqueline mi guardò con attenzione. Era una bambina estremamente intelligente, proprio com'era stata Theresa, che riconosceva subito ogni particolare fuori posto nel mio aspetto, come nella mia anima. "Anche tu stavi facendo un brutto sogno, papà?" Aveva visto le pesanti occhiaie sotto i miei occhi.
Facevo di tutto per dimostrarmi allegro in sua presenza, affinché non si preoccupasse e fosse felice come dovrebbe essere una qualsiasi bambina della sua età, ma quando poi scendeva la notte e mi ritrovavo solo con i miei fantasmi e con il mostro bianco in agguato accanto al letto di mia figlia non riuscivo a dormire più di qualche ora - quando ero molto fortunato.
"Sì, perché noi due condividiamo lo stesso cuore. Se la mia Jacqueline ha paura, anche io ho paura; se lei fa un brutto sogno, lo faccio anche io". Per una volta, volli accontentare la strana abitudine che aveva di parlare di sé in terza persona.
Lei sembrò contenta di quell'affermazione, perché si sporse verso di me e mi abbracciò.
"Papà, Jacqueline vorrebbe che tu dormissi con lei, questa sera..."
Oh, bambina mia, pregai mentre la stringevo con delicatezza, quasi rischiasse di rompersi ad ogni movimento brusco, ti prego, non morire. (Klaus)
Quella sera dormii nel suo letto. Il mio angioletto si era calmato, aveva smesso di tremare e sudare e adesso dormiva profondamente tra le mie braccia. Il suo respiro e il battito del suo cuore erano tornati regolari. La tenevo stretta al mio petto, le accarezzavo i lunghi capelli biondi, come se facessi di tutto perché rimanesse su questa terra, perché non mi abbandonasse come aveva fatto Theresa. No, non era stata lei, non era stata Theresa ad abbandonarmi, ero stato io ad averle tolto la vita, era stata tutta colpa mia. Adesso però dovevo pensare a Jacqueline. Quella notte non riuscii a dormire, le tenevo gli occhi puntati addosso per vedere se tutto andava bene. Intanto riflettevo a ciò che quella maledetta mattina il medico mi aveva detto. "Sono spiacente ma le notizie non sono per niente buone" - mi disse - "so che sarà difficile da accettare ma...sua figlia ha la leucemia". "Ma come è possibile, a che cosa è dovuto?" - gli chiesi , lui mi disse - "Abbiamo fatto tutte le analisi possibili, ma non siamo riusciti a capire a che cosa sia dovuto." Continuavano a risuonare nella mia testa, non riuscivo a non pensarci.
La mattina seguente mi alzai dal letto presto, adagiai Jaky nel suo letto, la coprii con le lenzuola e andai a darmi una sciacquata. Avevo un'appuntamento con il medico, doveva chiarirmi alcune cose.
Salutai Karl e uscito da casa, salii in macchina: destinazione ospedale. Arrivato lì, aspettai il mio turno nella sala d’aspetto dell’ospedale. Era arrivato il mio turno. Mi si era bloccato il respiro. Salutai il dottore con una stretta di mano, e lui mi chiese quali erano le condizioni di Jacqueline. Gli spiegai che la sera precedente si era svegliata all’improvviso e che sudava, aveva i brividi e aveva il fiatone. “Dottor Jameson, c’è una cura per la leucemia?” Quella era una domanda che mi frullava nella testa da quando mi aveva detto della malattia. “Si. È il trapianto del midollo. Oppure se non fosse possibile si potrebbe optare per una terapia dalla quale non si può ottenere una completa guarigione, ma potrebbe allungarle la vita.” Ecco siamo arrivati al punto dolente. Come facevo a spiegarle cosa stava succedendo...
(LaDyF)
Abbassai gli occhi, li tenni fissi sulle scarpe lucide del vecchio dottore.
Un giorno qualcuno mi aveva detto "John, sei un uomo solo..".
Aveva pronunciato queste parole con un sorriso amaro, tenendo in una mano un sigaro spento, nell'altra un camice candido ed una ventiquattr'ore.
Sorrisi anch'io, quella volta, all'affermazione stridula che avevo appena sentito uscire dalla bocca di quell'idiota. Non gli avevo neppure risposto, avevo tirato fuori la rivoltella e gli avevo sparato un colpo in testa.
Il mio compito era quello, nessun altro.
Theresa mi amava, mi aspettava a casa con una creatura minuscola fra le braccia che, sicuramente, un giorno mi avrebbe chiamato papà; avevo Karl, il mio migliore amico, il padre della mia principessa; e poi avevo me stesso, la persona di cui più mi fidavo.
Non ero un uomo solo. No, diamine, io non lo ero.

La strada verso casa fu dolorosa. Non ero riuscito, nello studio del medico, a prendere una decisione sensata: avevo avuto troppa paura. Ero consapevole del fatto che Jacky fosse troppo gracile ed esile per essere una bambina di sei anni, e probabilmente il suo corpicino non avrebbe retto un trapianto midollare. Eppure, la terapia sostitutiva al trapianto avrebbe portato ad un nulla di fatto.
Poggiai la schiena contro il primo muro che mi capitò vicino, e chiusi gli occhi.
La mia bambina, la mia unica bambina, stava morendo. Ed io stavo solo aiutandola a morire con le mie insicurezze, le mie incertezze ammuffite nel profondo.
"Il lavoro dell'assassino, mio caro amico, non si abbandona mai. John, sei e sarai sempre un uomo solo.."
La voce stridula di quell'idiota scoppiava nella testa.
Tirai un pugno al muro e le nocche della mano destra cominciarono a sanguinare.

Jacqueline, salva papà. Il tuo papà non riesce a salvare te.
(Lunastorta)
"Secondo me, dovresti consultare anche altri medici. Non che non mi fidi del dottor Jameson, è ovvio, ma forse dovresti ascoltare una persona più giovane, qualcuno che creda nella ricerca e nelle cure ancora sperimentali", mi aveva detto Karl quella sera, mentre si accendeva una sigaretta.
"Hai in mente qualcuno in particolare, vero?", gli chiesi. In tutta risposta, lui allungò la mano verso una pila di fogli di carta, ne prese uno e poi iniziò a scrivere qualcosa con una matita.
"Si chiama Rebecca Volpe. È nata in Italia, si è laureta in Gran Bretagna, specializzata in Francia e ha lavorato in Germania, Spagna, Svezia, Canada. È un' eccellente oncologa, ma è famosa per la sua piena fiducia nella ricerca e nelle cure ancora in fase sperimentale. Vive qui da un paio d'anni e lavora in una clinica privata a due ore di distanza da qui."
"Come la conosci?"
"È grazie a lei che mia sorella ha vinto la sua battaglia conto il cancro."
Per un attimo sentii il senso di disperazione che mi aveva tormentato nei giorni precedenti scivolare via. Le parole di Karl mi avevano regalato nuova speranza, nuova forza.
Fu così che il giorno dopo mi ritrovai in un piccolo studio della famosa clinica di Saint Louis ad aspettare impazientemente l'arrivo della dottoressa. I raggi del sole che illuminavano la stanza sembravano più luminosi del solito, il canto degli uccellini fuori dalla finestra più melodioso e l'aria più fresca. Sentivo che tutto sarebbe andato a finire per il meglio, che Jackeline sarebbe stata felice e...
"Buongiorno", mi salutò una voce femminile. "Lei dev'essere l'amico di Karl. A telefono mi ha parlato molto di lei."
Mi voltai e vidi che davanti a me si trovava una donna di massimo trent'anni, bruna e con gli occhi chiari, snella, non esageratamente alta, ma molto affascinante. Non poteva essere lei, la dottoressa Volpe. Era troppo giovane, aveva un sorriso da ragazzina... Sembrava una studentessa! "Io... Io stavo aspettando la dottoressa Rebecca Volpe."
La donna mi tese la mano. "Sono io. Piacere di conoscerla."
E fu così che sentii di nuovo il mondo crollarmi addosso. (Flusk)
Era troppo giovane. Come potevo affidarmi a lei? Come potevo riporre le mie ultime speranze in una ragazzina? Che ne sapeva quella giovane dottoressa della vita, della morte, del dolore? Oh la mia povera Jaqueline...
"Karl mi ha informata della malattia di sua figlia, Jaqueline. La leucemia è un'assassina orrenda e crudele, che non si fa scrupoli neanche davanti all'innocenza dei bambini. Mi rattrista particolarmente vedere quegli occhi giovani, ancora puri e pieni di vita ombrati dal velo scuro della morte. Per questo io sto facendo molte ricerche per scoprire molti nuovi metodi per combatterla. Ma adesso, venga, si accomodi nel mio studio. "
La seguii in un corridoio ampio; le pareti di questo ospedale, come di tutti gli altri, erano sempre azzurre, per dare una maggiore tranquillità a chi si trovava lì...Tranquillità: l'unica emozione che non provavo da anni, l'unica emozione che non mi suscitava quell'ambiente, l'unica emozione che non potevo provare nella mia situazione. La mia Jaqueline stava per morire, e io non potevo essere tranquillo, rilassato. Le pareti dello studio della dottoressa Volpe erano, invece, verdi...la speranza. Mi accomodai su una sedia e ascoltai Rebecca Volpe parlare di terapie, di globuli rossi, di linfociti, di midollo osseo... Pronunciò tante parole che la mia ignoranza non poté decifrare.. Alla fine mi congedò dicendomi di tornare la settimana dopo con mia figlia.

L'ospedale era come la settimana prima, nulla era cambiato. Se alcuni pazienti guarivano e tornavano a casa, altri si ammalavano ed erano costretti al ricovero in quella struttura; altri, ancora, morivano lì, tra le mura di quel posto sterile e freddo, che si nutriva delle emozioni degli altri, alla cui visione gli occhi della mia Jaqueline si velavano con una grande tristezza.
"Papà, a Jaqueline non piace questo posto"
"Neanche a papà piace".
La dottoressa ci aspettava nel suo studio. Mi salutò con una semplice stretta di mano e subito si rivolse a Jaqueline.
"Ciao! Ma come sei bella! Io sono Rebecca, tu come ti chiami?"
"Jaqueline" rispose timidamente mia figlia. Non sopportavo questa finzione che si usava con i bambini. I bambini, mia figlia, non sono stupidi.
"Allora Jaqueline, io devo prenderti in prestito un po' di sangue. Ho saputo da tuo padre che nelle tue vene c'è un liquido meraviglioso, puro e magico. Sei l'unica persona al mondo che lo possiede, per favore puoi darne un po' anche a me?"
"Tante persone vestite come te si sono prese un po del sangue di Jaqueline ma Jaqueline non sapeva che fosse magico. Se Jaqueline lo avesse saputo non lo avrebbe dato a loro: erano brutti e cattivi. Tu invece sei bella e brava, quindi Jaqueline pensa di poterti dare un po' del suo sangue magico."
Era riuscita a farsi voler bene dalla mia Jaqueline con finzioni e inganni. Io invece ci ero riuscito semplicemente guardandola negli occhi, standole accanto giorno e notte, pregando per lei e per la sua felicità, amandola più di ogni altra cosa. Lei mi voleva bene perché ero suo padre. Penso che i bambini a volte siano troppo ingenui a fidarsi del primo che pronuncia parole dolci e gentili. Ma non potevo contraddirla, forse quella giovane dottoressa l'avrebbe salvata.
Dopo il prelievo, mi disse che potevo tornare l'indomani, anche senza Jaqueline.
Ero agitato, solo, aspettando i risultati delle analisi nello studio della dottoressa Volpe. Sapevo che ci sarebbero state solo brutte notizie. Mi mancava l'aria, ero irrequieto ma anche un po' arreso. Era la mia ultima speranza. Quindi speravo, come mi suggeriva quella stanza. Speravo nella vita, nell'amore, nella medicina. Speravo in quella dottoressa. Speravo in me. Speravo nel poter annullare il mio passato e ricominciare dal mio futuro, insieme a Jaqueline. Speravo di non dover tornare più in quegli ospedali. Speravo di non dover mai più sentire la parola Leucemia, nè informarmi o sentir parlare di tutte le cose a lei connesse: stavo male, avevo voglia di chiudere questo capitolo come si fa con le pagine di internet, volevo premere stop e poi rewind, tutto di nuovo, tutto diverso. Speravo in un mondo senza malattia, senza ospedali; ero stato un assassino: per me era meglio morire sparati all'improvviso da un proiettile piuttosto che essere lacerati lentamente da una malattia, percorrendo tutte le tappe che conducevano irrimediabilmente verso la morte; avevo salvato le persone che avevo ucciso, anche Theresa, da tutto questo.
Speravo nella definitiva sconfitta della morte, perchè lei arriva, comunque.
Ed era arrivata anche la dottoressa nel suo studio, guardandomi con un'allegra luce negli occhi.
"Jaqueline può ancora essere salvata". (misstittyluna)
Le parole della dottoressa Volpe arrivarono, inaspettate e dure come un proiettile, nella mia testa.
"Salvata?" balbettai, incredulo.
La dottoressa sorrise, raggiante. "Sì, salvata."
Un secondo proiettile dritto nel cervello. Mi alzai lentamente dalla sedia rigida. Avevo le gambe intorpidite e, quando parlai, la voce risultò stridula ed eccessivamente chiara.
Tossii lievemente, poi continuai: "Cosa...Dottoressa, com'è possibile?"
"Farmaci biologici" Sorrise "Sa bene che un fisico come quello di Jacqueline non potrebbe sopportare un trapianto midollare, perciò ecco... Con lei potremmo sperimentare questo tipo di <<farmaci intelligenti>>"
Mi rabbuiai. Sperimentare... Avevo sempre odiato questa parola.
La dottoressa Volpe probabilmente notò l'improvviso cambiamento d'umore, e continuò il suo discorso con maggiore enfasi: "Vede...Questi farmaci agiscono a livello molecolare, sono una recente scoperta. Accompagneremo il trattamento con una chemioterapia; certo, sarà dura...Ma Jacqueline potrebbe farcela."
La dottoressa Volpe si alzò dalla poltrona con uno scatto, ed in un istante fu dietro la scrivania, accanto a me.
"La prego di stare vicino alla sua bambina, se lei dovesse decidere di firmare per il trattamento." Allungò il braccio verso l'altro lato della scrivania, prendendo un foglio. Poi, me lo porse.
"Lo legga attentamente. Faccia qualsiasi mossa con coscienza. Sarò franca: Se dovesse decidere di non acconsentire al trattamento farmacologico, Jacqueline potrebbe non vivere un altro mese."
Presi il foglio lentamente, guardando negli occhi la dottoressa Volpe. Poi, non ce la feci più.
"La ringrazio."
Con un balzo, raccolsi il cappotto dallo schienale della sedia ed uscii, urtando involontariamente quella ragazzina che avrebbe potuto salvare la vita di mia figlia. Non le chiesi scusa, non la salutai neppure. Sbattei forte la porta dietro di me e corsi via, via da quei muri azzurri, via da quelle mattonelle fredde, da quelle sale d'attesa soffocanti, dalle scale ripide e sporche, via.
Arrivato all'uscita dell'ospedale, scoppiai a piangere.

Non piansi, Theresa, quando ti strappai dal mondo. Non piansi neppure quando mi dissero che avevi un altro bambino nel grembo, ed io lo uccisi inconsapevolmente; né quando seppi che il mostro bianco stava soffocando la nostra bambina. Non piansi mai, Theresa.
Eppure sono qui adesso, solo come sono sempre stato, malato nell'animo come non fui mai.
Perché, Theresa, io non potevo immaginare che, uccidendo te, avrei lentamente ucciso me stesso.
L'unica luce che mi tiene in vita è flebile e delicata, troppo stanca e fragile per illuminarmi il cammino.
Perché si sta spegnendo la mia luce?Perché non io?
Ti raggiungerei, Theresa, se solo potessi. (Lunastorta)

Al mattino seguente il sole era alto e splendente, un paradosso in confronto al mio umore. Sulla tazza di tè galleggiavano pensieri e angosce, ricordi di origini fra loro contrastanti, vicini al foglio di carta poggiato sulla scrivania. Incredibile come un pezzo di carta ed una firma avrebbero potuto decidere del futuro di una bambina, della mia bambina, della mia piccola dolce Jacqueline dagli occhioni dolci in cui si leggeva l’instancabile voglia di vivere. Ma come affidare il destino di una vita così importante ad una donna sconosciuta? Cosa avrebbe fatto un buon padre?
Forse avrei dovuto imparare a fidarmi anche degli altri, perché in fondo sapevo che nonostante tutto l’amore che le potevo offrire, quel sentimento talmente grande non sarebbe bastato a cacciar via il mostro. Dovevo farlo per mia figlia, dovevo farlo per Theresa. Così presi il foglio stropicciato e, dopo l’ennesima lettura, firmai sul futuro della mia bambina. (Ale_Infy)

Giorno dopo giorno vedevo il volto della mia piccola oscurato da lievi solcature. La cura stava manifestando i primi segni su quel corpicino innocente, che ogni giorno pareva assottigliarsi sempre più. Avrei voluto con tutta l'anima poter soffrire io al posto di Jaqueline: sarebbe stata la giusta espiazione per il mio passato. Ciò che mi tormentava di più era il modo in cui lei affrontava questa pena: il suo sorriso cristallino non la abbandonava, mentre io ero disperato perché non potevo far nulla per aiutarla, se non starle costantemente vicino.
Passavano i mesi, ma la mia piccina era sempre più debole. Cominciavo a temere che questa cura sperimentale fosse solo una perdita di tempo, un'inutile prova che avrebbe portato ad un'inevitabile fallimento. Esami ed analisi erano perennemente all'ordine del giorno, e non ne potevo più di attraversare interminabili corsie d'ospedale per essere sballottato da un'ambulatorio all'altro, solo per sentirmi dire che la situazione era stabile, e per ora non c'erano miglioramenti. La mia speranza stava scemando ogni giorno di più. Ormai temevo che tutto ciò non sarebbe servito a nulla, che avrei solo peggiorato le sofferenze del mio tesoro.
Una sera mi svegliai di soprassalto: avevo sentito un rumore, e proveniva dalla stanza di Jaqueline. (Lizzy)
Mi alzai si soprassalto. Annaspai fino alla camera della mia bambina. Accesi la luce. La vedevo contorcersi,sudare,respirare affannosamente. Non sapevo che fare. Della morte sapevo tutto,la morte è una cosa facile. Della vita non sapevo niente. Le asciugavo febbrilmente la fronte,le carezzavo dolcemente il capo. Non andartene,sei la cosa più importante della mia vita. Anzi,sei tu la mia vita. Ho bisogno di vedere i tuoi occhi. Li fissai,non vi trovai alcuna traccia di tormento. Sul mio viso,al contrario,era scesa un’ombra. I miei lineamenti erano ormai spenti. Ovvio,ogni giorno Jaqueline era sempre meno presente in questo mondo,sempre meno viva. Con la stessa macabra costanza,una parte di me moriva,un altro pezzo di cuore ingrigiva,un’altra luce della vita si spegneva. Senza la mia piccola sarei rimasta un guscio vuoto,un cielo senza stelle,un uomo ridotto all’ombra di sé stesso. “Papà.. c’è la mamma” disse in un soffio il mio amore. No Dio! Se ne sta andando! E altre lacrime rigarono il mio viso. Avevo imparato a piangere qualche tempo prima,e ormai questo fiume in piena di emozioni aveva scavato il suo triste letto,solcando ogni giorno le mie guance scarne. “Papà guarda!” seguì con lo sguardo l’esile braccio di Jaky per imbattermi in una figura irreale,simile a nebbia,non di questo mondo. Quel pallore mortale non aveva potuto niente, sulla sua bellezza. Theresa. Le si riconosceva solo il viso,il resto non era altro che candida luce. Non aveva più il viso contratto in una smorfia di dolore e triste sorpresa,come l’avevo lasciata parecchi anni prima,riversa sul freddo asfalto. Sul suo volto non c’era però la luce più abbagliante di tutte,che avrebbe sbaragliato persino quel bagliore che la circondava. Il suo meraviglioso sorriso. Mi guardò con una strana espressione,che esprimeva tristezza,rancore,angoscia,tentennamento,dolore. E finalmente,con una voce simile ad uno straziante assolo di violoncello,parlò: “Karl. Nostra figlia sta morendo. È ora che venga con me,non deve rimanere con te. L’assassino di sua madre.” E intanto si avvicinò,io ero impietrito. Era ancora più bassa di me,anche come fantasma,ma alle sue parole mi sentì rimpicciolire. “ Sai perché nessuno capisce la causa della sua malattia?” Io deglutì. “ Sono i tuoi peccati. Tutte le anime che hai spezzato gravano sul suo piccolo corpicino. Lei non ti appartiene più,non fa più parte di questo mondo, ed è tutta colpa tua.” Mi porse una rosa rossa appassita, mentre si voltava a guardare la mia piccola creatura. Stavo per prenderla,ma all’ultimo momento ritrassi la mano e lasciai cadere nel vuoto quella rosa sfiorita. La mia Jaqueline non avrebbe fatto la stessa fine. Theresa mi guardò stranita,e mi accorsi che dietro la sua veste inconsistente si affacciava un visino. Con gli stessi lineamenti della madre,il suo stesso pallore mortale….e i miei occhi. Oddio mio figlio,il figlio che Theresa aveva in grembo. Altre lacrime eruppero dai miei occhi. Ma mia figlia non sarebbe finita così. Mi voltai di scatto verso di lei,la sollevai stringendola a me,e scappai via,rincorso dallo strillo disumano della mia amata.


Mi svegliai e mi resi conto di essere in cucina,il bollitore fischiava. Mi ricordò vagamente quell’urlo terribile. Era un sogno. Solo un maledettissimo sogno. Nel pomeriggio decisi di andare a trovare la tomba di mia moglie per la prima volta,con Jaqueline. Accarezzai stordito il marmo della lapide. Di fronte a me,dall’altra parte della lapide,si materializzò la figura di Theresa,mano nella mano con il bambino. Aveva uno sguardo più dolce dell'altra volta. Strinsi forte la manina di mia figlia. Mi sembrò di trovarmi davanti ad uno specchio,loro due riflessi del mio passato. Poggiai una rosa rossa sulla lapide,appena colta. Di un rosso porpora sgargiante. Lei mi guardò compiaciuta, si voltò e se ne andò con il bambino. Quel bambino che non avrei conosciuto,che non avrei mai potuto abbracciare. Mi voltai anch’io,stringendo la manina della mia anima,che era ancora con me. Non l’avrei lasciata andare. Jaqueline,tu vivrai. E con questa convinzione me ne andavo tra le lapidi,rincorrendo l’orizzonte che si tingeva di sangue,con accanto il mio più grande tesoro. (Sonia)

Sangue proprio così. Quello che avevo versato. Quello che era ricopriva la mia coscienza. Spesso chiudevo gli occhi e la mia prima immagine ritraeva Theresa, stesa per terra con un lago di sangue intorno a lei. Raramente mi capitava di perdermi nei miei ricordi. Avevo paura di riviverli. Avevo paura di guardare gli occhi di tutte quelle persone che avevo violentemente strappato dalla loro vita. Ma quando mi sentivo particolarmente coraggioso prendevo il coraggio per mano e mi addentravo lentamente nei miei ricordi. Non ricordo a quando risale il mio primo incontro con una'arma. So soltanto che iniziai per rabbia. La rabbia che portavo dentro per la condotta che mio padre aveva con mia madre. Lei era infelice a causa sua. Io ero infelice a causa sua. Trovai rimedio in una pistola. Volevo che lui patisse lentamente tutto quello che aveva fatto patire a me e a mia madre. In un primo momento non ebbi il coraggio di ucciderlo, se avessi versato il suo sangue sarebbe stato come se avessi versato un po anche del mio. Scappai da quella casa,non volevo più essere debole. A scuola c'era uno che mi infastidiva molto,decisi di iniziare con lui. Volevo iniziare a non essere più il bonaccione che tutti credevano...
Jacqueline non farò mai di te passato, non ascoltare i miei ricordi. (Camilla)

Come accadeva spesso durante quelle interminabili giornate in cui si stavano concentrando tutte le mie speranze nella guarigione di Jacqueline, mi ritrovavo seduto al tavolo della cucina, mentre la piccolina dormiva. Ormai sempre più spesso la mia bambina era costretta a letto, poichè la leucemia le provocava ogni altro tipo di malanno. Sebbene la situazione fosse stabile e, per un attimo, avevo pensato che il miglioramento si sarebbe visto subito, stranamente la terapia di quella giovane dottoressa aveva avuto solo metà dell'effetto che speravo. E mentre ero solo, i miei ricordi ne approfittavano per assalirmi. Ormai cominciavo ad abituarmici, ma nulla riusciva a farmi accettare completamente il mio passato nè mai sarei riuscito a compiere una tale impresa. Tuttavia, quel giorno, i miei pensieri erano diretti allo strano sogno di qualche notte prima. Theresa mi aveva parlato e, anche se sembrava tutto frutto della mia mente delirante, forse aveva davvero un significato...
Mentre ero perso nei labirinti della mia mente, il campanello sounò due volte: il classico modo di suonare al citofono che aveva John. Gli aprii e, appena lo vidi in faccia, capii che si sentiva un po' a disagio.
«Che cosa vuoi?» Gli chiesi io, sospirando: non era proprio il momento per altri problemi.
«Sono venuto... così, magari hai bisogno di qualcuno che ti stia vicino...» E, sentite queste parole, senza ulteriori indugi, gli chiusi la porta in faccia. In effetti no, non ne avevo bisogno. Ma lui frappose il piede tra la porta e l'uscio e mi fu impossibile completare l'atto di chiuderlo fuori.
«Ti prego, se torno a casa così mia moglie mi ucciderà!» Lo feci entrare. Dopo che ebbi chiesto spiegazioni, saltò fuori che la sua compagna era una donna abbastanza ostinata e, mossa a compassione dalla mia situazione, lo aveva mandato forzatamente da me per darmi sostegno morale. Quando gli chiesi perchè non era venuta lei stessa, disse che queste, secondo sua moglie, erano cose da risolversi tra uomini.
Parlando del più e del meno, mi accorsi che forse avevo davvero bisogno di qualcuno con cui parlare, almeno per sollevarmi un po' il morale, che era veramente a terra. Finii con lo spiegargli anche il sogno che avevo fatto...
«E così sarebbero i tuoi peccati la causa di tutto questo?»
«Così mi ha detto Theresa... ma ciò non spiegherebbe perchè tu te la spassi e io invece no. Sbaglio o hai ucciso quasi quanto me?»
«Questo è vero...» rispose lui «... però sei tu la causa di tutto questo, no?»
In effetti era proprio così. Tempo fa, dopo il mio primo omicidio contro un bullo, ad opera della pistola di mio padre, fuggii di casa ed incontrai John, più grande di me, ma altrettanto portato alla violenza. Gli offrii una parte della ricompensa e ci mettemmo a lavorare per conto dei più loschi figuri della terra, uccidendo una persona dopo l'altra. In sintesi, è più o meno così che si svolse la mia attività di assassino prima di incontrare Theresa, figlia di John. E poi, durante quello che mi ero ripromesso sarebbe stato il mio ultimo lavoro...
«Ehilà, Karl? Sei ancora fra noi?»
«Scusa, stavo pensando» Risposi io, scuotendo la testa per scacciare quei pensieri «Cosa stavi dicendo?»
Quello sbuffò. «Dicevo che non puoi certo rimediare chiedendo scusa a tutti. Anche chiedendo ai parenti delle vittime di perdonarti, veramente rimedieresti ai tuoi crimini? Voglio dire... loro ti perdonerebbero?» Mi domandò, cercando lui stesso di aiutarmi a trovare una soluzione «Cioè, almeno che tu non ti rivolga ad una medium, ma...»
In quel momento, stanco di sopportare quella situazione di stallo e confuso da tutti quegli avvenimenti, perfino l'idea della medium sembrava attuabile... (Kaze no Klonoa)

Per schiarirmi le idee decisi di rintanarmi nella mia stanza ormai resa opaca, grigia, inconsistente dai giorni che lentamente veloce scorrevano come granelli di sabbia in una clessidra . Mi accesi con tutta la calma possibile uno di quei sigari che mi piacevano tanto , diedi uno sguardo fugace a quell'ambiente che non sembrava appartenermi affatto , così distante , freddo . Le tende di quel rosso scarlatto che puntualmente e maledettamente mi tormentava , i tappeti asiatici , la polvere sui davanzali, la grande vetrata di luce che si affacciava sul caos della metropoli . I tavolini in cristallo , i fiori appassiti ma ancora di quel rosso così vivo . I quadri che Theresa amava dipingere , le fotografie che me la ricordavano così bella e imperturbabile nel pieno di quella giovinezza glaciale che tanto mi aveva conquistato. Quegli scatti di vita conservanti un parte di me stesso , di noi due insieme . Quegli occhi color dell'ebano che non si fermavano e soffermavano mai su nulla; quegli occhi che neanche il fragile e lucido spessore di una pellicola di cellulosa non riuscivano a catturare . Mi sedetti sulla poltrona di pelle accanto alla porta e lentamente la chiusi come chiusi i miei occhi spalancando la mente sull'universo dei ricordi.

Quando nacque Theresa avevo esattamente la stessa età in cui la morte ,la mia mano , la mia calibro 26 l'hanno strappata alla vita . Karl anche lui giovanissimo , l'aveva avuta da una cameriera di provincia , una ragazza che facilmente si concedeva ai frequentatori del locale dove lavorava . Ricordo quella notte ancora come fosse oggi . Il vento urlava con tutta la sua forza devastatrice , gli alberi si piegavano come foglie accartocciate su se stesse. Il cielo era scuro e senza stelle ma la luna faceva la sua bella mostra al centro dell'intera volta oscura e tenebrosa , brillando con lo splendore di mille soli . Karl ed io agitati, passeggiavamo per il corridoio nell'attesa di quella bambina così inaspettata , e così tremendamente in ritardo.
Sua madre mettendola alla luce perse la vita . Aveva urlato così tanto da inghiottire quasi completamente il suono implacabile del vento che infuriava fuori dalle finestre di quell'anonima stanza . Theresa aveva aspettato la luce per nascere . All'alba fece il suo ingresso in questo mondo . Il mio migliore amico assente l'osservava da lontano accasciato sulla soglia della porta . L'infermiera faceva cenno di venire a vederla, di ammirare quella creatura dall'ineguagliabile bellezza, ma lui non ce la faceva , non riusciva . Così fui io il primo a tenerla tra le braccia, il primo uomo che avesse mai visto , il primo uomo che avrebbe mai amato. Quegli occhi mi si infilarono come artigli nella carne , facendola a pezzi , lacerandola. Capii dal primo istante che senza quel corpicino tra le braccia sarei stato come un corpo morto , privo di vita . Ne avevo visti tanti fino ad allora e conoscevo bene il meccanismo inarrestabile della morte che si insinua nel momento in cui il muscolo cardiaco cessa di sbattere. Conoscevo bene l'espressione dipinta sui volti delle persone che avevo ucciso. Riposi Theresa nella culla . Guardai il riflesso nello specchio che avevo davanti . Riconobbi quello stesso sguardo , quella stessa freddezza mortale . Il mio cuore quasi cesso di scalpitare . Senza di lei ormai sapevo che non sarei stato più nulla .

Col tempo quell'amore incomprensibile, fatale, mi legava sempre più al fragile corpo di Theresa . Frequentavo la casa di suo padre , passavo ore ed ore , nei ritagli di tempo che il e lavoro mi concedeva ,contemplandola e vedendola crescere assieme al mio amico. Gli anni scorrevano veloci e Theresa diventava ogni giorno più bella . Compiuta la maggiore età, il gioco mortale dell'attrazione mi teneva sempre più stretto al suo esile e affascinante corpo candido , con un laccio saldo e arroventato. Mai avrei osato sfiorarla, malgrado non potevo nascondere un desiderio irrefrenabile verso di lei.
Ma fu proprio lei a condurmi verso di se . Ci amavamo follemente,fugacemente, oltrepassando i limiti del tempo, delle convenzioni delle consuetudini . Le strappavo baci bollenti , assaporavo giorno per giorno ogni sua essenza purificandomi dal male che compievo . Lei era il bianco ed io il nero. Lei era la rosa ed io le spine . Lei era le lenzuola stese ad asciugare al sole ed io la macchia . Lei era acqua cristallina ed io ero nero sangue. Pur sempre nella nostra antitesi, ci amavano nella nostra antitesi .
Karl quando lo scoprì non accettò tutto di buon grado , ma col tempo riuscii a dimostrargli davvero quanto amassi sua figlia . E me la concesse.
E poi venne Jacqueline .


Per il bene delle mie donne rinunciai alla mia attività di sicario. Durante l'ultimo anno mi lasciavo attraversare dalla vita , trasportare dagli eventi con una nuova consapevolezza speranza . Fino a quando quel maledetto giorno squillò quel maledetto telefono. Fino a quando quell'orribile giorno commissionai il mio ultimo omicidio .
Dovevo solo raggiungere King's Bar a due isolati dal mio appartamento. Entrarvi. Premere il grilletto e sparare contro la donna incappucciata con al collo un pendente nero a forma di stella, china su delle carte e ancora inebriata dall'aroma del suo caffè. E scappare . Un gioco da ragazzi , l'ultimo. Ma ancora non sapevo che sarebbe stata anche la fine della mia di vita. (Laura290495)
Quella notte non dormii quasi per niente e all’alba del giorno seguente iniziai a prepararmi. Cercai di far meno rumore possibile, Theresa non doveva sentirmi. Ripetetti per due o tre volte nella mia mente: ”Questo deve essere l’ultimo”.
Mi tremavano le mani, ero insicuro eppure non mi era mai successo prima.
Era soltanto un colpo di pistola, un maledettissimo colpo di pistola ma mi faceva paura. Paura di deludere l’unica persona che abbia mai amato veramente, l’unica persona che merita la massima protezione, l’unica persona che non si stancava mai di provare a migliorarmi, l’ unica persona che proteggeva ogni giorno me e la nostra piccola Jaqueline, l’unica persona che mi faceva innamorare ogni giorno della mia stessa vita.
<<John, dove stai andando?>> Ecco, Theresa si era appena svegliata.
<<Già sveglia? >> Cercai subito di cambiare discorso.
<< Anche tu sei sveglio da un po’ vedo… allora, mi rispondi? Dove stai andando?>>
<<Devo vedermi con tuo padre, mi ha chiamato ieri sera. Non so cosa voglia.>> Cercavo di non guardarla negli occhi ma lei si alzò di scatto dal letto e si avvicinò a me obbligandomi a guardarla.
<<Dimmi la verità… dove stai andando?>>
<< Sto andando da tuo padre, perché dovrei mentirti?>>
<< E perché ti avrebbe chiamato? Cosa vorrebbe da te? Lo sa che ormai non deve più chiedere il tuo aiuto…giusto?>>
<<Sì non preoccuparti. Io vado. Ci vediamo più tardi.>>
Theresa non rispose, continuò a fissarmi fino alla soglia della porta come se volesse seguirmi. La guardai per l’ultima volta negli occhi ma non riuscì ancora a dire niente. Scesi velocemente le scale e salii in macchina, controllai i colpi nella pistola e iniziai a guidare verso il King’s bar. Ero in anticipo; parcheggiai difronte al bar e aspettai che la signora incappucciata e col pendente a forma di stella arrivasse. Non sapevo il suo nome, la sua età, se avesse figli, se fosse sposata; nel mio lavoro non c’era spazio né per le domande né per le risposte. Nel mio lavoro si deve solo agire, immediatamente e senza scuse.
Circa mezz’ora più tardi, la vidi correre con passo veloce e guardandosi intorno, una signora con un cappuccio nero di mattina è facilmente identificabile.

La mia ultima vittima non era sola, era seduta ad uno dei tavolini infondo al locale con altri due uomini. Iniziai ad avvicinarmi lentamente restando indifferente al “Buongiorno, cosa desidera?” del barista.
Strinsi la pistola che era nella tasca interna della mia giacca.
“Forza Jhon, devi sono premere il grilletto e scappare, scappare più veloce che puoi!” .
<<Buongiorno!>>mi bloccai, quella era una voce troppo familiare.
Mi voltai velocemente e cercai di mascherare la mia faccia stupita.
<< Theresa, che ci fai qui?>> (carla.fila)

<< Potrei rivolgerti la stessa domanda. Sono qui solo a prendere un caffè,ci vengo spesso.>>
Non sapevo come replicare. Era una risposta che dovevo aspettarmi. In quel momento provai ansia,confusione,tormento. Volevo rispondere,rassicurarla,ma vedere quegli occhi castani che mi fissavano dubbiosi,non mi lasciava neppure la forza di aprire bocca.
<<John,stai bene? E dov'è mio padre? Non dovevi vederti con lui?>>
Volevo scomparire. Andarmene,fuggire via. Eppure ricomposi la mia espressione.
<<Stavo appunto andando da lui,quando mi sono ricordato di non aver fatto colazione,e questo era il bar più vicino. Ma ora non posso perdere tempo,mi starà aspettando. Ci vediamo stasera amore. >>
Non le diedi nemmeno il tempo di salutarmi,scappai da quel luogo e mi nascosi lì vicino,a riflettere. Non potevo deludere Theresa. Ma il mio mandante mi avrebbe trovato,e sicuramente avrebbe voluto vendicarsi. In fondo il lavoro era ben pagato e dovevo portarlo a termine. Per di più scappare era da vili,ed essere tale non è mai stata una mia caratteristica.
Quindi mi feci forza e attesi nascosto nell'ombra. Avevo deciso di aspettare che mia moglie uscisse dal bar,prima di fare qualsiasi cosa. Poi vidi la donna incappucciata aprire la porta d'ingresso del locale. Dovevo agire velocemente. Dovevo ucciderla lì. Le mie mani,sudate,tremavano nel momento in cui sparai quel colpo. Quel maledettissimo colpo. Come potevo sapere che sotto quel cappuccio nero si nascondeva la mia Theresa? Me ne accorsi troppo tardi. Quando,dopo essermi accertato che nessuno mi avesse visto sparare,mi avvicinai al corpo fingendomi un passante. E lei era lì.
Ero fermo dinanzi a ciò che rimaneva della donna che amavo,e non capivo come fosse accaduto. Come avevo fatto a non riconoscere quel cappotto,quel cappuccio nero? Era Theresa! Ma lei centrava qualcosa in questa storia? Le mie domande svanivano di fronte alla realtà. Avevo ucciso la mia più grande ragione di vita. Avevo ucciso me stesso. Il resto era solo un bisbiglio lontano. (Giorgia_)
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyLun Gen 24, 2011 10:13 pm

Ecco la lista dei nomi di coloro che hanno partecipato alla stesura del nostro racconto:
-il Guru;
-Sarita;
-Lulu;
-_Giuci_;
-Lunastorta;
-Black Star;
-LaDyF;
-Maria Grazia;
-Klaus;
-Flusk;
-misstittyluna;
-Ale_Infy;
-Lizzy;
-Sonia;
-Camilla;
-Kaze no Klonoa;
-Laura290495;
-carla.fila;
-Giorgia_.

Spero di doverla aggiornare presto.
Very Happy



Ultima modifica di Flusk il Gio Gen 27, 2011 6:11 pm - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyLun Gen 24, 2011 10:17 pm

*__* ho una domanda...visto che io ho scritto due pezzi, prima di sapere che non si poteva, magari uno dei miei due può "passare" o "essere inglobato" in quello di qualcun'altro...
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Flusk

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyMar Gen 25, 2011 12:22 am

_Giuci_ ha scritto:
*__* ho una domanda...visto che io ho scritto due pezzi, prima di sapere che non si poteva, magari uno dei miei due può "passare" o "essere inglobato" in quello di qualcun'altro...
Ehm... Non ho capito... lol!
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Sarita

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyMar Gen 25, 2011 10:55 am

Flusk ha scritto:
_Giuci_ ha scritto:
*__* ho una domanda...visto che io ho scritto due pezzi, prima di sapere che non si poteva, magari uno dei miei due può "passare" o "essere inglobato" in quello di qualcun'altro...
Ehm... Non ho capito... lol!

idem, potresti essere più chiara?
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Giorgia_

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyMer Gen 26, 2011 5:10 pm

LaDyF ha scritto:
brava giorgia! Smile

Grazie Embarassed xD
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LaDyF

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyMer Gen 26, 2011 8:33 pm

figurati!!! Smile
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Laura :)

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyGio Gen 27, 2011 3:48 pm

complimenti Giorgia!Very Happy:*
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Flusk

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyGio Gen 27, 2011 6:08 pm

Il viaggio di ritorno era stato tormentato dai miei vecchi pensieri, dai rimorsi di coscienza che in tutti quegli anni non mi avevano mai abbandonato. Sull'ultimo tratto dell'Oceano l'aereo aveva ballato maledettamente per diversi minuti prima di trovare una più tranquilla rotta di avvicinamento verso il piccolo aeroporto della mia mai dimenticata città. Quelle turbolenze in mezzo a montagne di nuvole nere avevano scatenato in molti di noi comportamenti irrituali, animaleschi e in alcuni addirittura ridicoli. C'era chi chiudeva gli occhi ed invocava sottovoce un Dio amico e compassionevole; c'era chi, invece, rideva istericamente cercando di esorcizzare il senso di terrore che lo stava attanagliando e chi, come me, che in quei pochi minuti faceva il bilancio della propria vita... (il Guru)
Soltanto in quel momento si capiscono davvero gli errori fatti, le belle azioni e gli attimi mancati. Solo ora ti rendi conto che la vita è meravigliosa, che ogni attimo deve essere vissuto al massimo, sorridendo e godendosi anche i piccoli attimi. Una farfalla che stranamente ha scelto il tuo braccio come trespolo su cui stare, perchè emana un odore di dolce( forse quella caramella al miele che si è appiccicata sulla giacca), uno sprazzo di cielo azzurro in una giornata nuvolosa, il vento giocherellone che ti ha scompigliato i capelli e ti ha reso buffo/a, mentre tu cercavi di guardare sottecchi la persona amata, ma che non ricambia i tuoi sentimenti. Tutto mi passò per la mente, dai miei primi anni, all'adolescenza. Dal mio primo brufolo, al momento in cui sono diventato/a grande. Una cosa in particolare mi recava rimorso nel cuore,il non aver dato il mio ultimo addio alle persone a me care, il non aver detto ti amo al mio unico amore, il lasciare sole le persone che mi amano...gli amici, i parenti....quanto male fa al mio cuore tutto questo...ed intanto una lacrima scende, solitaria, come sono io su questo aereo. (Sarita)
Aereo maledetto, diretto in un posto maledetto. Jacqueline, nata senza preavviso, piccola e silenziosa. Un essere senza pretese, troppo fragile per far rumore. Jacqueline con quegli occhi trasparenti, velati e poi improvvisamente limpidi, e quella assurda voglia di ridere. Una risata e poi silenzio. E sarà forse silenzio ancora e ancora, solo silenzio, in quella stanza dove la luce si fa beffe della disperazione e i tentati sorrisi umiliano la speranza. Non farlo ti prego, per favore, me, non lei.
Guardo fuori. Accanto a me la luna, impressionante. Solo luce riflessa dicono. Eppure, la notte in cui nacque Jacqueline, ne sono assolutamente certo, la luna brillò! (Lulu)
Non so ben spiegare come, quando o perchè, ma chiusi gli occhi. Fu l'errore più grande della mia vita, perchè se prima avevo un piccolo appiglio alla realtà che mi impediva di sprofondare in me stesso, ora non c'era più. Buio, sangue, vittime e armi: tutto ciò aveva segnato la mia miserabile vita. Alcuni mi avrebbero definito un cacciatore di taglie, un assassino, alcuni più semplicemente un sicario, prendete per buona la definizione che preferite, ciò che contava in quel preciso istante non era dove sarei andato dopo la morte: no, non mi importava. Mentre sprofondavo nelle mie viscere in cerca di qualcosa di umano, rabbrividii ricordando lo sguardo docile e innocente di Theresa. I suoi occhi marroni mi avevano seguito ovunque da quella sera d'estate in cui la uccisi a bruciapelo, sempre velati di orgoglio e onore. La sua unica colpa era quella di essersi trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e io non mi ero mai lasciato influenzare dalle amicizie nel lavoro. Non ero mai potuto andare alla sua tomba, non avevo mai versato una lacrima, non potevo permettermelo. Suo padre lo sapeva, e non me lo aveva mai chiesto, neanche quando mi aveva scoperto con le mani macchiate con il sangue di sua figlia. In silenzio pregai per quell'anima strappata alla vita dalla mia pistola. E, ironia della sorte, era proprio lì che stavo portando mia figlia, da quell'uomo che era cresciuto con me, che mi aveva aiutato sempre, e al quale io avevo solo strappato il suo unico amore senza mai chiedere scusa.
Se fossi sceso sano e salvo da quell'aereo, avrei preteso per Jacqueline una vita diversa, umana, degna di questo nome. VITA. (_Giuci_)
Una voce squillante ruppe il flusso dei miei pensieri dolorosi.
"L'aereo AZ480 è atterrato. Si prega di slacciare le cinture, grazie."
Avevo sempre odiato le hostess. Le loro vocine squillanti e le loro maniere affettate mi avevano sempre, estremamente irritato.
Eppure stavolta mi ritrovavo sollevato nell'udirne l'avviso, così semplice e chiaro.
Cosa stava succedendo? Dov'ero diretto? Dove le mie mani sporche di sangue?

Slacciai la cintura con una mano, e con l'alta scostai i capelli sudati dalla fronte. Il mio abito elegante faceva letteralmente a pugni con l'espressione sconvolta e decisamente poco professionale che, ne ero certo, il mio volto aveva assunto.
Voltai il capo verso la bambina seduta al mio fianco. Era bella, esile, la carnagione chiara, i capelli color della paglia. Le sfiorai la manina candida, e lei rabbrividì. Aveva gli occhi chiusi, probabilmente dormiva, ed un paio di ciglia folte e chiare nascondevano due occhi meravigliosi. Il colore di quegli occhi, io non lo ricordo più.
Dove sei, Jacqueline? Io non ti vedo più. (Lunastorta)
"Siamo arrivati...?" Mi domandò con la sua vocina assonnata, stropicciandosi gli occhi con le mani chiuse a pugno. Tirai un lungo sospiro abbandonando per un istante il vortice dei miei pensieri, e voltandomi verso di lei abbozzai un sorriso che avrebbe dovuto rassicurarla.
"Sì, siamo arrivati." Ripetei lentamente, come una liberazione, e stringendo la fredda mano di Jacqueline la invitai ad alzarsi.
Quando fummo finalmente fuori dall'aereo tirai una boccata d'aria fresca, concedendomi un istante di relax. Ce l'abbiamo fatta, pensai.
Niente più nascondersi, niente più mentire, niente più fuggire...
C'eravamo solo io e la mia bambina, soli in una città contemporaneamente nuova e conosciuta.

Sarebbe bastato a cancellare i miei peccati? Era davvero possibile ricominciare?
Cancellare il passato in cerca di una nuova vita...
Era tutto ciò che desideravo, perchè almeno lei potesse vivere felice.

Presi a camminare muovendo lenti e pesanti passi, seguiti da quelli rapidi e allegri della bambina che tenevo per mano, che prendendo tutto come un gioco si ostinava a seguire il ritmo del mio passo. Lì per lì sorrisi alla cosa, poi ebbi paura.
Non imitare tutto ciò che faccio, Jaky. Papà non è una brava persona.
"Jacqueline non vede l'ora di giocare con il nonno!" Dichiarò lei felicemente, e io celai la mia angoscia dietro un teatrale sorriso.
"Non è bene parlare in terza persona..." "Ma a Jacqueline piace!"
Sbuffò, proclamando silenziosamente la fine di quella discussione. Era tanto testarda quanto fragile, la mia Jacqueline. Tanto astuta quanto dolce, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi...gli occhi...

Li osservai bene, quegli occhi, riscoprendoli marroni. E allora serrai i denti distogliendo subito lo sguardo; dicono che le iridi marroni siano le più comuni, ma quello sguardo l'avrei riconosciuto tra mille.

Jacqueline era tanto testarda quanto fragile, tanto astuta quanto dolce, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi marroni di Theresa. (Black Star)
"Cosa ci fai qui, John?". Inutile dire che la freddezza nel suo tono di voce mi fece sentire uno stupido, un completo idiota e una feccia umana, ma me lo aspettavo.
"Buonasera, Karl", dissi a testa bassa e stringendo la mano di Jaky, che avevo fatto nascondere dietro di me. Non perchè non mi fidassi di lui, ma per precauzione. Regola N. 1 per la sopravvivenza nella mia vita: NON lasciare mai nulla al caso. Sentendo che batteva un piede, chiamai a raccolta tutte le forze che avevo e alzai lo sguardo, incontrando la sua espressione truce. Dai suoi occhi uscivano fiamme color nocciola, che mi entrarono nel corpo paralizzandomi completamente. Non era cambiato molto nel corso di questi 4 anni. Stessi capelli scompigliati, stessi zigomi alti e labbra serrate dall'odio viscerale che provava per me.
"Da quando questa formalità con me? Eri o no il mio migliore amico?". Non risposi, perchè sapevo benissimo dove voleva arrivare: ferirmi nell'orgoglio. risparmia la fatica Karl, è già successo
"Rispondi", mi intimò serrando ancora di più le labbra.
"Si".
"E allora come hai potuto ucci...". Lo fermai e stringendo la presa feci vedere la mia bambina, sua nipote.
Paura, stupore, rassegnazione, odio e un barlume di tenerezza gli passarono sul volto in pochi istanti. Guardandomi negli occhi capì, e chiamò una ragazza (la sua compagna presumo) che prese Jaky e la portò nel piano superiore. Karl si girò e io lo seguii, notando che il dolore non lo aveva intaccato nel fisico. Mi avrebbe potuto stendere in un momento, se solo avesse voluto.
Così fece. Senza farmene neanche rendere conto mi atterrò con un pugno e mi piazzò un coltellino sulla gola, spingendo leggermente la lama.
"Cosa vuoi da me, John? Ti ho dato la mia amicizia un tempo, la MIA fiducia. Non ti è bastato vero? eri arrivato a 40 anni e non avevi una moglie, e io ti ho affidato MIA figlia...la mia Theresa, e come mi hai ripagato? Lo so io, portandomela via. aveva 19 anni John, capisci? Era un rischio affidarla a te, ma mi sono fidato. Beh non succederà più". Lo lasciai sfogare e trattenni il respiro. Quando ebbi la certezza che non mi avrebbe ucciso, gli dissi 4 parole che non avevo mai detto prima, a nessuno, neanche a lui.
"Ho bisogno di te" (_Giuci_)
Karl mi guardò negli occhi come non aveva fatto mai, dopo quel dannato quindici agosto di cinque anni fa.
Mi guardò, ed io rividi, in quelle intense iridi color ebano, il volto meraviglioso di Theresa.
La rividi bella, luminosa, nel giorno del nostro primo incontro. Danzava, Theresa, lasciando attorno a sé una scia di profumo dolciastro, facendo volteggiare da una parte all'altra del palcoscenico i suoi soffici capelli dorati. Volava nell'aria, Theresa, come una farfalla leggera. Il suo vestito scarlatto mi ricordò quello di Beatrice nel Purgatorio dantesco.
John, perché mi guardi così?
Rividi i suoi occhi, gli occhi di Theresa, gli occhi di mia figlia. Rividi Theresa sonnacchiosa; Theresa nervosa il giorno prima degli esami di maturità; Theresa emozionata la nostra prima volta insieme.
Dio, John, sei sbronzo...
Theresa meravigliosa, splendida nelle sue maniere da bambina; Theresa candida, trasparente come i vetri della casa che avremmo comprato assieme; Theresa impaurita, troppo giovane per diventare madre.
Allontanati, ti prego, mi fai paura...
Theresa piccola e grande; Theresa fragile e forte; Theresa.
NO, JOHN!
Theresa, ti prego, non far urlare il tuo ricordo più nella mia testa. Non potrei sopportare altro dolore.
Sto continuando a sprofondare nel mio lugubre Inferno.
(Lunastorta)
E quando ormai ero entrato in un vortice nero e buio dal quale difficilmente credevo di poter uscire fuori, ecco che vidi il volto del mio piccolo angioletto. Jacqueline. Lei, era sempre stata lei a darmi la forza di poter andare avanti, la voglia di ricominciare a vivere, la voglia di donarle una vita diversa, migliore da quella che attualmente le stavo offrendo io. Era stata lei a infondermi la forza di prendere una decisione così dolorosa e sofferta.
"Ti prego aiutami" - dissi a John - "ho bisogno di te". Mai come in quel momento la voglia di chiedere aiuto era stata tanto forte. Pensavo che chiedere aiuto volesse dire essere debole. Non avevo chiesto aiuto a nessuno, anche nelle situazioni più difficili e dure della mia vita, avevo preso decisioni solo ed esclusivamente da solo, senza il consiglio o l'incoraggiamento di nessuno. Potevo ancora chiamarla VITA, dopo tutte quelle atrocità che avevo commesso, dopo aver strappato la vita a tantissime persone. Quella era in assoluto la prima volta che chiedevo aiuto, e non ero sicuro che John me lo avrebbe dato.
Mentre il suo sguardo era fisso su di me, le lacrime cominciarono a scendere giù dai miei occhi. Ecco, provavo una cosa nuova. Anche il pianto era stato sempre per me un segno di debolezza. Ma ora era tutto diverso. Volevo sfogarmi, e di certo non potevo farlo con il mio angioletto. Non volevo rattristarla. John mi guardò con una espressione preoccupata e allo stesso tempo enigmatica. Sicuramente vedendomi in quello stato si stava chiedendo cosa fosse successo. In un certo senso mi sentii sollevato. Voleva dire che nonostante il dolore che gli avessi arrecato uccidendo Theresa, la nostra amicizia non l'aveva dimenticata. Di questo gli fui grato. Non penso che se mi fossi trovato al suo posto sarei riuscito a perdonare una cosa del genere. Con un filo di voce, probabilmente per non farsi sentire da Jacqueline e dalla sua compagna mi disse:"Karl che succede?". Le parole fecero fatica a uscire dalla mia bocca. "L'altra settimana Jacqueline non si è sentita bene ed è svenuta. Per vedere a che cosa fosse dovuto le ho fatto fare delle analisi" - non riuscivo più a continuare - "le hanno diagnosticato una forma iniziale di leucemia". Le lacrime non smettevano più di sgorgare dai miei occhi.
John mi guardava esterrefatto, era rimasto senza parole. "E' ancora piccola" - gli dissi - ha solo nove anni, come faccio a dirle che ha una malattia grave? Come faccio a trovare le parole giuste per parlarle?". John mi rispose "Sei sicuro che sia leucemia? Hai fatto rifare le analisi?". Gli risposi di si.
Come farei a vivere senza di lei, senza quei due grandi occhioni marroni che mi guardano, senza la sua dolce voce che mi chiama e il suo viso che mi sorride?. (LaDyF)
Karl quella notte mi ospitò. Non volentieri, certo, ma disse chiaramente che non avrebbe permesso che una bambina, quella bambina, dormisse in un albergo qualunque. La mia stanza e quella di Jacqueline erano separate solo da due porte, ma a me sembravano già troppe. Nessuno poteva separarci. Nessuno poteva separarmi dall'ultima cosa che mi era rimasta di lei.
"Papà, me lo dai il bacio della buona notte?", come si poteva essere così attivi dopo una giornata così stancante ancora lo dovevo capire.
"Certo!"
Mi chinai sulla testolina delicata e le posai un bacio dolce sulla guancia.
"E me la racconti una storia?", pessima richiesta. Fa troppo male ricordare la propria, di storia; figuriamoci quella degli altri!
"Lo sai che non sono bravo...".
"Allora te la racconta Jacqueline!".
"Sentiamo", sorrisi indulgente e mi preparai a chissà quale assurdo viaggio nella mente di una bambina troppo fantasiosa.
"Non è di Jacqueline, però... La racconta la maestra quando siamo distratti. Dice che un signore che stava sempre a guardare il cielo un giorno era talmente distratto che non vide una buca e ci cadde dentro. Dice anche che non dobbiamo sempre stare con il naso all'insù altrimenti poi cadiamo in una buca...Ma ci sono buche così grandi in città?".
Jacqueline, Jacqueline. Sei la mia più grande domanda e la più esauriente risposta. E io passo troppo tempo a guardare il cielo. Sto per cadere in una grande buca. Ma se mi tieni tu la mano e mi guidi per la strada, di sicuro non cadrò.
Ti prego Theresa, perdonami. Solo per un po' dovrò smettere di ascoltare il tuo grido. Non posso permettere che l'ultima cosa buona che è rimasta di noi cada insieme a me. Devo proteggerla dal mostro bianco che sta in agguato nella buca e si chiama leucemia. Poi ti raggiungerò nel dolce oblio. (Maria Grazia)
Mi alzai dal letto di scatto, quella notte, risvegliato dalla voce di Jacqueline che mi chiamava, due porte e un Inferno più in là della mia camera. Infilai frettolosamente le ciabatte e corsi da lei, come facevo da qualche tempo a quella parte ogni singola notte - credo da quando la leucemia aveva attecchito nel suo povero corpicino.
Come di consueto, era seduta sul letto, con il mento sulle ginocchia raccolte contro petto. Era scossa dai brividi, il sudore le imperlava la fronte, respirava affannosamente.
Sino a quando non era svenuta, mi ero illuso che tutto quel sudore e quella fame d'aria che dimostrava non fossero sintomi e questo, forse, avrebbe ostacolato - se non impedito - le cure per mia figlia. Se lei avesse abbracciato la sua mamma troppo presto, io non me lo sarei mai perdonato.
"Papà, Jacqueline ha fatto un brutto sogno..." sussurrò quando accesi la luce e chiusi la porta dietro di me nel tentativo di non disturbare ulteriormente Karl e la sua compagna. Mi sedetti sul bordo del suo letto e le presi una mano. Era orribilmente bagnata.
Aveva davanti mia figlia, tremante, fradicia di sudore e ansimante come l'avevo avuta davanti per tante altre notti prima di quella, e soltanto la settimana scorsa ho avuto il coraggio di portarla in ospedale, quando ha perso conoscenza tra le mie braccia e ho sentito il suo cuoricino palpitare troppo freneticamente.
"Non ti preoccupare, adesso c'è il tuo papà qui con te ed il brutto sogno è sicuramente fuggito via" la rassicurai, allungando la mano libera ad accarezzarle la fronte umida.
Jacqueline mi guardò con attenzione. Era una bambina estremamente intelligente, proprio com'era stata Theresa, che riconosceva subito ogni particolare fuori posto nel mio aspetto, come nella mia anima. "Anche tu stavi facendo un brutto sogno, papà?" Aveva visto le pesanti occhiaie sotto i miei occhi.
Facevo di tutto per dimostrarmi allegro in sua presenza, affinché non si preoccupasse e fosse felice come dovrebbe essere una qualsiasi bambina della sua età, ma quando poi scendeva la notte e mi ritrovavo solo con i miei fantasmi e con il mostro bianco in agguato accanto al letto di mia figlia non riuscivo a dormire più di qualche ora - quando ero molto fortunato.
"Sì, perché noi due condividiamo lo stesso cuore. Se la mia Jacqueline ha paura, anche io ho paura; se lei fa un brutto sogno, lo faccio anche io". Per una volta, volli accontentare la strana abitudine che aveva di parlare di sé in terza persona.
Lei sembrò contenta di quell'affermazione, perché si sporse verso di me e mi abbracciò.
"Papà, Jacqueline vorrebbe che tu dormissi con lei, questa sera..."
Oh, bambina mia, pregai mentre la stringevo con delicatezza, quasi rischiasse di rompersi ad ogni movimento brusco, ti prego, non morire. (Klaus)
Quella sera dormii nel suo letto. Il mio angioletto si era calmato, aveva smesso di tremare e sudare e adesso dormiva profondamente tra le mie braccia. Il suo respiro e il battito del suo cuore erano tornati regolari. La tenevo stretta al mio petto, le accarezzavo i lunghi capelli biondi, come se facessi di tutto perché rimanesse su questa terra, perché non mi abbandonasse come aveva fatto Theresa. No, non era stata lei, non era stata Theresa ad abbandonarmi, ero stato io ad averle tolto la vita, era stata tutta colpa mia. Adesso però dovevo pensare a Jacqueline. Quella notte non riuscii a dormire, le tenevo gli occhi puntati addosso per vedere se tutto andava bene. Intanto riflettevo a ciò che quella maledetta mattina il medico mi aveva detto. "Sono spiacente ma le notizie non sono per niente buone" - mi disse - "so che sarà difficile da accettare ma...sua figlia ha la leucemia". "Ma come è possibile, a che cosa è dovuto?" - gli chiesi , lui mi disse - "Abbiamo fatto tutte le analisi possibili, ma non siamo riusciti a capire a che cosa sia dovuto." Continuavano a risuonare nella mia testa, non riuscivo a non pensarci.
La mattina seguente mi alzai dal letto presto, adagiai Jaky nel suo letto, la coprii con le lenzuola e andai a darmi una sciacquata. Avevo un'appuntamento con il medico, doveva chiarirmi alcune cose.
Salutai Karl e uscito da casa, salii in macchina: destinazione ospedale. Arrivato lì, aspettai il mio turno nella sala d’aspetto dell’ospedale. Era arrivato il mio turno. Mi si era bloccato il respiro. Salutai il dottore con una stretta di mano, e lui mi chiese quali erano le condizioni di Jacqueline. Gli spiegai che la sera precedente si era svegliata all’improvviso e che sudava, aveva i brividi e aveva il fiatone. “Dottor Jameson, c’è una cura per la leucemia?” Quella era una domanda che mi frullava nella testa da quando mi aveva detto della malattia. “Si. È il trapianto del midollo. Oppure se non fosse possibile si potrebbe optare per una terapia dalla quale non si può ottenere una completa guarigione, ma potrebbe allungarle la vita.” Ecco siamo arrivati al punto dolente. Come facevo a spiegarle cosa stava succedendo...
(LaDyF)
Abbassai gli occhi, li tenni fissi sulle scarpe lucide del vecchio dottore.
Un giorno qualcuno mi aveva detto "John, sei un uomo solo..".
Aveva pronunciato queste parole con un sorriso amaro, tenendo in una mano un sigaro spento, nell'altra un camice candido ed una ventiquattr'ore.
Sorrisi anch'io, quella volta, all'affermazione stridula che avevo appena sentito uscire dalla bocca di quell'idiota. Non gli avevo neppure risposto, avevo tirato fuori la rivoltella e gli avevo sparato un colpo in testa.
Il mio compito era quello, nessun altro.
Theresa mi amava, mi aspettava a casa con una creatura minuscola fra le braccia che, sicuramente, un giorno mi avrebbe chiamato papà; avevo Karl, il mio migliore amico, il padre della mia principessa; e poi avevo me stesso, la persona di cui più mi fidavo.
Non ero un uomo solo. No, diamine, io non lo ero.

La strada verso casa fu dolorosa. Non ero riuscito, nello studio del medico, a prendere una decisione sensata: avevo avuto troppa paura. Ero consapevole del fatto che Jacky fosse troppo gracile ed esile per essere una bambina di sei anni, e probabilmente il suo corpicino non avrebbe retto un trapianto midollare. Eppure, la terapia sostitutiva al trapianto avrebbe portato ad un nulla di fatto.
Poggiai la schiena contro il primo muro che mi capitò vicino, e chiusi gli occhi.
La mia bambina, la mia unica bambina, stava morendo. Ed io stavo solo aiutandola a morire con le mie insicurezze, le mie incertezze ammuffite nel profondo.
"Il lavoro dell'assassino, mio caro amico, non si abbandona mai. John, sei e sarai sempre un uomo solo.."
La voce stridula di quell'idiota scoppiava nella testa.
Tirai un pugno al muro e le nocche della mano destra cominciarono a sanguinare.

Jacqueline, salva papà. Il tuo papà non riesce a salvare te.
(Lunastorta)
"Secondo me, dovresti consultare anche altri medici. Non che non mi fidi del dottor Jameson, è ovvio, ma forse dovresti ascoltare una persona più giovane, qualcuno che creda nella ricerca e nelle cure ancora sperimentali", mi aveva detto Karl quella sera, mentre si accendeva una sigaretta.
"Hai in mente qualcuno in particolare, vero?", gli chiesi. In tutta risposta, lui allungò la mano verso una pila di fogli di carta, ne prese uno e poi iniziò a scrivere qualcosa con una matita.
"Si chiama Rebecca Volpe. È nata in Italia, si è laureta in Gran Bretagna, specializzata in Francia e ha lavorato in Germania, Spagna, Svezia, Canada. È un' eccellente oncologa, ma è famosa per la sua piena fiducia nella ricerca e nelle cure ancora in fase sperimentale. Vive qui da un paio d'anni e lavora in una clinica privata a due ore di distanza da qui."
"Come la conosci?"
"È grazie a lei che mia sorella ha vinto la sua battaglia conto il cancro."
Per un attimo sentii il senso di disperazione che mi aveva tormentato nei giorni precedenti scivolare via. Le parole di Karl mi avevano regalato nuova speranza, nuova forza.
Fu così che il giorno dopo mi ritrovai in un piccolo studio della famosa clinica di Saint Louis ad aspettare impazientemente l'arrivo della dottoressa. I raggi del sole che illuminavano la stanza sembravano più luminosi del solito, il canto degli uccellini fuori dalla finestra più melodioso e l'aria più fresca. Sentivo che tutto sarebbe andato a finire per il meglio, che Jackeline sarebbe stata felice e...
"Buongiorno", mi salutò una voce femminile. "Lei dev'essere l'amico di Karl. A telefono mi ha parlato molto di lei."
Mi voltai e vidi che davanti a me si trovava una donna di massimo trent'anni, bruna e con gli occhi chiari, snella, non esageratamente alta, ma molto affascinante. Non poteva essere lei, la dottoressa Volpe. Era troppo giovane, aveva un sorriso da ragazzina... Sembrava una studentessa! "Io... Io stavo aspettando la dottoressa Rebecca Volpe."
La donna mi tese la mano. "Sono io. Piacere di conoscerla."
E fu così che sentii di nuovo il mondo crollarmi addosso. (Flusk)
Era troppo giovane. Come potevo affidarmi a lei? Come potevo riporre le mie ultime speranze in una ragazzina? Che ne sapeva quella giovane dottoressa della vita, della morte, del dolore? Oh la mia povera Jaqueline...
"Karl mi ha informata della malattia di sua figlia, Jaqueline. La leucemia è un'assassina orrenda e crudele, che non si fa scrupoli neanche davanti all'innocenza dei bambini. Mi rattrista particolarmente vedere quegli occhi giovani, ancora puri e pieni di vita ombrati dal velo scuro della morte. Per questo io sto facendo molte ricerche per scoprire molti nuovi metodi per combatterla. Ma adesso, venga, si accomodi nel mio studio. "
La seguii in un corridoio ampio; le pareti di questo ospedale, come di tutti gli altri, erano sempre azzurre, per dare una maggiore tranquillità a chi si trovava lì...Tranquillità: l'unica emozione che non provavo da anni, l'unica emozione che non mi suscitava quell'ambiente, l'unica emozione che non potevo provare nella mia situazione. La mia Jaqueline stava per morire, e io non potevo essere tranquillo, rilassato. Le pareti dello studio della dottoressa Volpe erano, invece, verdi...la speranza. Mi accomodai su una sedia e ascoltai Rebecca Volpe parlare di terapie, di globuli rossi, di linfociti, di midollo osseo... Pronunciò tante parole che la mia ignoranza non poté decifrare.. Alla fine mi congedò dicendomi di tornare la settimana dopo con mia figlia.

L'ospedale era come la settimana prima, nulla era cambiato. Se alcuni pazienti guarivano e tornavano a casa, altri si ammalavano ed erano costretti al ricovero in quella struttura; altri, ancora, morivano lì, tra le mura di quel posto sterile e freddo, che si nutriva delle emozioni degli altri, alla cui visione gli occhi della mia Jaqueline si velavano con una grande tristezza.
"Papà, a Jaqueline non piace questo posto"
"Neanche a papà piace".
La dottoressa ci aspettava nel suo studio. Mi salutò con una semplice stretta di mano e subito si rivolse a Jaqueline.
"Ciao! Ma come sei bella! Io sono Rebecca, tu come ti chiami?"
"Jaqueline" rispose timidamente mia figlia. Non sopportavo questa finzione che si usava con i bambini. I bambini, mia figlia, non sono stupidi.
"Allora Jaqueline, io devo prenderti in prestito un po' di sangue. Ho saputo da tuo padre che nelle tue vene c'è un liquido meraviglioso, puro e magico. Sei l'unica persona al mondo che lo possiede, per favore puoi darne un po' anche a me?"
"Tante persone vestite come te si sono prese un po del sangue di Jaqueline ma Jaqueline non sapeva che fosse magico. Se Jaqueline lo avesse saputo non lo avrebbe dato a loro: erano brutti e cattivi. Tu invece sei bella e brava, quindi Jaqueline pensa di poterti dare un po' del suo sangue magico."
Era riuscita a farsi voler bene dalla mia Jaqueline con finzioni e inganni. Io invece ci ero riuscito semplicemente guardandola negli occhi, standole accanto giorno e notte, pregando per lei e per la sua felicità, amandola più di ogni altra cosa. Lei mi voleva bene perché ero suo padre. Penso che i bambini a volte siano troppo ingenui a fidarsi del primo che pronuncia parole dolci e gentili. Ma non potevo contraddirla, forse quella giovane dottoressa l'avrebbe salvata.
Dopo il prelievo, mi disse che potevo tornare l'indomani, anche senza Jaqueline.
Ero agitato, solo, aspettando i risultati delle analisi nello studio della dottoressa Volpe. Sapevo che ci sarebbero state solo brutte notizie. Mi mancava l'aria, ero irrequieto ma anche un po' arreso. Era la mia ultima speranza. Quindi speravo, come mi suggeriva quella stanza. Speravo nella vita, nell'amore, nella medicina. Speravo in quella dottoressa. Speravo in me. Speravo nel poter annullare il mio passato e ricominciare dal mio futuro, insieme a Jaqueline. Speravo di non dover tornare più in quegli ospedali. Speravo di non dover mai più sentire la parola Leucemia, nè informarmi o sentir parlare di tutte le cose a lei connesse: stavo male, avevo voglia di chiudere questo capitolo come si fa con le pagine di internet, volevo premere stop e poi rewind, tutto di nuovo, tutto diverso. Speravo in un mondo senza malattia, senza ospedali; ero stato un assassino: per me era meglio morire sparati all'improvviso da un proiettile piuttosto che essere lacerati lentamente da una malattia, percorrendo tutte le tappe che conducevano irrimediabilmente verso la morte; avevo salvato le persone che avevo ucciso, anche Theresa, da tutto questo.
Speravo nella definitiva sconfitta della morte, perchè lei arriva, comunque.
Ed era arrivata anche la dottoressa nel suo studio, guardandomi con un'allegra luce negli occhi.
"Jaqueline può ancora essere salvata". (misstittyluna)
Le parole della dottoressa Volpe arrivarono, inaspettate e dure come un proiettile, nella mia testa.
"Salvata?" balbettai, incredulo.
La dottoressa sorrise, raggiante. "Sì, salvata."
Un secondo proiettile dritto nel cervello. Mi alzai lentamente dalla sedia rigida. Avevo le gambe intorpidite e, quando parlai, la voce risultò stridula ed eccessivamente chiara.
Tossii lievemente, poi continuai: "Cosa...Dottoressa, com'è possibile?"
"Farmaci biologici" Sorrise "Sa bene che un fisico come quello di Jacqueline non potrebbe sopportare un trapianto midollare, perciò ecco... Con lei potremmo sperimentare questo tipo di <<farmaci intelligenti>>"
Mi rabbuiai. Sperimentare... Avevo sempre odiato questa parola.
La dottoressa Volpe probabilmente notò l'improvviso cambiamento d'umore, e continuò il suo discorso con maggiore enfasi: "Vede...Questi farmaci agiscono a livello molecolare, sono una recente scoperta. Accompagneremo il trattamento con una chemioterapia; certo, sarà dura...Ma Jacqueline potrebbe farcela."
La dottoressa Volpe si alzò dalla poltrona con uno scatto, ed in un istante fu dietro la scrivania, accanto a me.
"La prego di stare vicino alla sua bambina, se lei dovesse decidere di firmare per il trattamento." Allungò il braccio verso l'altro lato della scrivania, prendendo un foglio. Poi, me lo porse.
"Lo legga attentamente. Faccia qualsiasi mossa con coscienza. Sarò franca: Se dovesse decidere di non acconsentire al trattamento farmacologico, Jacqueline potrebbe non vivere un altro mese."
Presi il foglio lentamente, guardando negli occhi la dottoressa Volpe. Poi, non ce la feci più.
"La ringrazio."
Con un balzo, raccolsi il cappotto dallo schienale della sedia ed uscii, urtando involontariamente quella ragazzina che avrebbe potuto salvare la vita di mia figlia. Non le chiesi scusa, non la salutai neppure. Sbattei forte la porta dietro di me e corsi via, via da quei muri azzurri, via da quelle mattonelle fredde, da quelle sale d'attesa soffocanti, dalle scale ripide e sporche, via.
Arrivato all'uscita dell'ospedale, scoppiai a piangere.

Non piansi, Theresa, quando ti strappai dal mondo. Non piansi neppure quando mi dissero che avevi un altro bambino nel grembo, ed io lo uccisi inconsapevolmente; né quando seppi che il mostro bianco stava soffocando la nostra bambina. Non piansi mai, Theresa.
Eppure sono qui adesso, solo come sono sempre stato, malato nell'animo come non fui mai.
Perché, Theresa, io non potevo immaginare che, uccidendo te, avrei lentamente ucciso me stesso.
L'unica luce che mi tiene in vita è flebile e delicata, troppo stanca e fragile per illuminarmi il cammino.
Perché si sta spegnendo la mia luce?Perché non io?
Ti raggiungerei, Theresa, se solo potessi. (Lunastorta)

Al mattino seguente il sole era alto e splendente, un paradosso in confronto al mio umore. Sulla tazza di tè galleggiavano pensieri e angosce, ricordi di origini fra loro contrastanti, vicini al foglio di carta poggiato sulla scrivania. Incredibile come un pezzo di carta ed una firma avrebbero potuto decidere del futuro di una bambina, della mia bambina, della mia piccola dolce Jacqueline dagli occhioni dolci in cui si leggeva l’instancabile voglia di vivere. Ma come affidare il destino di una vita così importante ad una donna sconosciuta? Cosa avrebbe fatto un buon padre?
Forse avrei dovuto imparare a fidarmi anche degli altri, perché in fondo sapevo che nonostante tutto l’amore che le potevo offrire, quel sentimento talmente grande non sarebbe bastato a cacciar via il mostro. Dovevo farlo per mia figlia, dovevo farlo per Theresa. Così presi il foglio stropicciato e, dopo l’ennesima lettura, firmai sul futuro della mia bambina. (Ale_Infy)

Giorno dopo giorno vedevo il volto della mia piccola oscurato da lievi solcature. La cura stava manifestando i primi segni su quel corpicino innocente, che ogni giorno pareva assottigliarsi sempre più. Avrei voluto con tutta l'anima poter soffrire io al posto di Jaqueline: sarebbe stata la giusta espiazione per il mio passato. Ciò che mi tormentava di più era il modo in cui lei affrontava questa pena: il suo sorriso cristallino non la abbandonava, mentre io ero disperato perché non potevo far nulla per aiutarla, se non starle costantemente vicino.
Passavano i mesi, ma la mia piccina era sempre più debole. Cominciavo a temere che questa cura sperimentale fosse solo una perdita di tempo, un'inutile prova che avrebbe portato ad un'inevitabile fallimento. Esami ed analisi erano perennemente all'ordine del giorno, e non ne potevo più di attraversare interminabili corsie d'ospedale per essere sballottato da un'ambulatorio all'altro, solo per sentirmi dire che la situazione era stabile, e per ora non c'erano miglioramenti. La mia speranza stava scemando ogni giorno di più. Ormai temevo che tutto ciò non sarebbe servito a nulla, che avrei solo peggiorato le sofferenze del mio tesoro.
Una sera mi svegliai di soprassalto: avevo sentito un rumore, e proveniva dalla stanza di Jaqueline. (Lizzy)
Mi alzai si soprassalto. Annaspai fino alla camera della mia bambina. Accesi la luce. La vedevo contorcersi,sudare,respirare affannosamente. Non sapevo che fare. Della morte sapevo tutto,la morte è una cosa facile. Della vita non sapevo niente. Le asciugavo febbrilmente la fronte,le carezzavo dolcemente il capo. Non andartene,sei la cosa più importante della mia vita. Anzi,sei tu la mia vita. Ho bisogno di vedere i tuoi occhi. Li fissai,non vi trovai alcuna traccia di tormento. Sul mio viso,al contrario,era scesa un’ombra. I miei lineamenti erano ormai spenti. Ovvio,ogni giorno Jaqueline era sempre meno presente in questo mondo,sempre meno viva. Con la stessa macabra costanza,una parte di me moriva,un altro pezzo di cuore ingrigiva,un’altra luce della vita si spegneva. Senza la mia piccola sarei rimasta un guscio vuoto,un cielo senza stelle,un uomo ridotto all’ombra di sé stesso. “Papà.. c’è la mamma” disse in un soffio il mio amore. No Dio! Se ne sta andando! E altre lacrime rigarono il mio viso. Avevo imparato a piangere qualche tempo prima,e ormai questo fiume in piena di emozioni aveva scavato il suo triste letto,solcando ogni giorno le mie guance scarne. “Papà guarda!” seguì con lo sguardo l’esile braccio di Jaky per imbattermi in una figura irreale,simile a nebbia,non di questo mondo. Quel pallore mortale non aveva potuto niente, sulla sua bellezza. Theresa. Le si riconosceva solo il viso,il resto non era altro che candida luce. Non aveva più il viso contratto in una smorfia di dolore e triste sorpresa,come l’avevo lasciata parecchi anni prima,riversa sul freddo asfalto. Sul suo volto non c’era però la luce più abbagliante di tutte,che avrebbe sbaragliato persino quel bagliore che la circondava. Il suo meraviglioso sorriso. Mi guardò con una strana espressione,che esprimeva tristezza,rancore,angoscia,tentennamento,dolore. E finalmente,con una voce simile ad uno straziante assolo di violoncello,parlò: “Karl. Nostra figlia sta morendo. È ora che venga con me,non deve rimanere con te. L’assassino di sua madre.” E intanto si avvicinò,io ero impietrito. Era ancora più bassa di me,anche come fantasma,ma alle sue parole mi sentì rimpicciolire. “ Sai perché nessuno capisce la causa della sua malattia?” Io deglutì. “ Sono i tuoi peccati. Tutte le anime che hai spezzato gravano sul suo piccolo corpicino. Lei non ti appartiene più,non fa più parte di questo mondo, ed è tutta colpa tua.” Mi porse una rosa rossa appassita, mentre si voltava a guardare la mia piccola creatura. Stavo per prenderla,ma all’ultimo momento ritrassi la mano e lasciai cadere nel vuoto quella rosa sfiorita. La mia Jaqueline non avrebbe fatto la stessa fine. Theresa mi guardò stranita,e mi accorsi che dietro la sua veste inconsistente si affacciava un visino. Con gli stessi lineamenti della madre,il suo stesso pallore mortale….e i miei occhi. Oddio mio figlio,il figlio che Theresa aveva in grembo. Altre lacrime eruppero dai miei occhi. Ma mia figlia non sarebbe finita così. Mi voltai di scatto verso di lei,la sollevai stringendola a me,e scappai via,rincorso dallo strillo disumano della mia amata.


Mi svegliai e mi resi conto di essere in cucina,il bollitore fischiava. Mi ricordò vagamente quell’urlo terribile. Era un sogno. Solo un maledettissimo sogno. Nel pomeriggio decisi di andare a trovare la tomba di mia moglie per la prima volta,con Jaqueline. Accarezzai stordito il marmo della lapide. Di fronte a me,dall’altra parte della lapide,si materializzò la figura di Theresa,mano nella mano con il bambino. Aveva uno sguardo più dolce dell'altra volta. Strinsi forte la manina di mia figlia. Mi sembrò di trovarmi davanti ad uno specchio,loro due riflessi del mio passato. Poggiai una rosa rossa sulla lapide,appena colta. Di un rosso porpora sgargiante. Lei mi guardò compiaciuta, si voltò e se ne andò con il bambino. Quel bambino che non avrei conosciuto,che non avrei mai potuto abbracciare. Mi voltai anch’io,stringendo la manina della mia anima,che era ancora con me. Non l’avrei lasciata andare. Jaqueline,tu vivrai. E con questa convinzione me ne andavo tra le lapidi,rincorrendo l’orizzonte che si tingeva di sangue,con accanto il mio più grande tesoro. (Sonia)

Sangue proprio così. Quello che avevo versato. Quello che era ricopriva la mia coscienza. Spesso chiudevo gli occhi e la mia prima immagine ritraeva Theresa, stesa per terra con un lago di sangue intorno a lei. Raramente mi capitava di perdermi nei miei ricordi. Avevo paura di riviverli. Avevo paura di guardare gli occhi di tutte quelle persone che avevo violentemente strappato dalla loro vita. Ma quando mi sentivo particolarmente coraggioso prendevo il coraggio per mano e mi addentravo lentamente nei miei ricordi. Non ricordo a quando risale il mio primo incontro con una'arma. So soltanto che iniziai per rabbia. La rabbia che portavo dentro per la condotta che mio padre aveva con mia madre. Lei era infelice a causa sua. Io ero infelice a causa sua. Trovai rimedio in una pistola. Volevo che lui patisse lentamente tutto quello che aveva fatto patire a me e a mia madre. In un primo momento non ebbi il coraggio di ucciderlo, se avessi versato il suo sangue sarebbe stato come se avessi versato un po anche del mio. Scappai da quella casa,non volevo più essere debole. A scuola c'era uno che mi infastidiva molto,decisi di iniziare con lui. Volevo iniziare a non essere più il bonaccione che tutti credevano...
Jacqueline non farò mai di te passato, non ascoltare i miei ricordi. (Camilla)

Come accadeva spesso durante quelle interminabili giornate in cui si stavano concentrando tutte le mie speranze nella guarigione di Jacqueline, mi ritrovavo seduto al tavolo della cucina, mentre la piccolina dormiva. Ormai sempre più spesso la mia bambina era costretta a letto, poichè la leucemia le provocava ogni altro tipo di malanno. Sebbene la situazione fosse stabile e, per un attimo, avevo pensato che il miglioramento si sarebbe visto subito, stranamente la terapia di quella giovane dottoressa aveva avuto solo metà dell'effetto che speravo. E mentre ero solo, i miei ricordi ne approfittavano per assalirmi. Ormai cominciavo ad abituarmici, ma nulla riusciva a farmi accettare completamente il mio passato nè mai sarei riuscito a compiere una tale impresa. Tuttavia, quel giorno, i miei pensieri erano diretti allo strano sogno di qualche notte prima. Theresa mi aveva parlato e, anche se sembrava tutto frutto della mia mente delirante, forse aveva davvero un significato...
Mentre ero perso nei labirinti della mia mente, il campanello sounò due volte: il classico modo di suonare al citofono che aveva John. Gli aprii e, appena lo vidi in faccia, capii che si sentiva un po' a disagio.
«Che cosa vuoi?» Gli chiesi io, sospirando: non era proprio il momento per altri problemi.
«Sono venuto... così, magari hai bisogno di qualcuno che ti stia vicino...» E, sentite queste parole, senza ulteriori indugi, gli chiusi la porta in faccia. In effetti no, non ne avevo bisogno. Ma lui frappose il piede tra la porta e l'uscio e mi fu impossibile completare l'atto di chiuderlo fuori.
«Ti prego, se torno a casa così mia moglie mi ucciderà!» Lo feci entrare. Dopo che ebbi chiesto spiegazioni, saltò fuori che la sua compagna era una donna abbastanza ostinata e, mossa a compassione dalla mia situazione, lo aveva mandato forzatamente da me per darmi sostegno morale. Quando gli chiesi perchè non era venuta lei stessa, disse che queste, secondo sua moglie, erano cose da risolversi tra uomini.
Parlando del più e del meno, mi accorsi che forse avevo davvero bisogno di qualcuno con cui parlare, almeno per sollevarmi un po' il morale, che era veramente a terra. Finii con lo spiegargli anche il sogno che avevo fatto...
«E così sarebbero i tuoi peccati la causa di tutto questo?»
«Così mi ha detto Theresa... ma ciò non spiegherebbe perchè tu te la spassi e io invece no. Sbaglio o hai ucciso quasi quanto me?»
«Questo è vero...» rispose lui «... però sei tu la causa di tutto questo, no?»
In effetti era proprio così. Tempo fa, dopo il mio primo omicidio contro un bullo, ad opera della pistola di mio padre, fuggii di casa ed incontrai John, più grande di me, ma altrettanto portato alla violenza. Gli offrii una parte della ricompensa e ci mettemmo a lavorare per conto dei più loschi figuri della terra, uccidendo una persona dopo l'altra. In sintesi, è più o meno così che si svolse la mia attività di assassino prima di incontrare Theresa, figlia di John. E poi, durante quello che mi ero ripromesso sarebbe stato il mio ultimo lavoro...
«Ehilà, Karl? Sei ancora fra noi?»
«Scusa, stavo pensando» Risposi io, scuotendo la testa per scacciare quei pensieri «Cosa stavi dicendo?»
Quello sbuffò. «Dicevo che non puoi certo rimediare chiedendo scusa a tutti. Anche chiedendo ai parenti delle vittime di perdonarti, veramente rimedieresti ai tuoi crimini? Voglio dire... loro ti perdonerebbero?» Mi domandò, cercando lui stesso di aiutarmi a trovare una soluzione «Cioè, almeno che tu non ti rivolga ad una medium, ma...»
In quel momento, stanco di sopportare quella situazione di stallo e confuso da tutti quegli avvenimenti, perfino l'idea della medium sembrava attuabile... (Kaze no Klonoa)

Per schiarirmi le idee decisi di rintanarmi nella mia stanza ormai resa opaca, grigia, inconsistente dai giorni che lentamente veloce scorrevano come granelli di sabbia in una clessidra . Mi accesi con tutta la calma possibile uno di quei sigari che mi piacevano tanto , diedi uno sguardo fugace a quell'ambiente che non sembrava appartenermi affatto , così distante , freddo . Le tende di quel rosso scarlatto che puntualmente e maledettamente mi tormentava , i tappeti asiatici , la polvere sui davanzali, la grande vetrata di luce che si affacciava sul caos della metropoli . I tavolini in cristallo , i fiori appassiti ma ancora di quel rosso così vivo . I quadri che Theresa amava dipingere , le fotografie che me la ricordavano così bella e imperturbabile nel pieno di quella giovinezza glaciale che tanto mi aveva conquistato. Quegli scatti di vita conservanti un parte di me stesso , di noi due insieme . Quegli occhi color dell'ebano che non si fermavano e soffermavano mai su nulla; quegli occhi che neanche il fragile e lucido spessore di una pellicola di cellulosa non riuscivano a catturare . Mi sedetti sulla poltrona di pelle accanto alla porta e lentamente la chiusi come chiusi i miei occhi spalancando la mente sull'universo dei ricordi.

Quando nacque Theresa avevo esattamente la stessa età in cui la morte ,la mia mano , la mia calibro 26 l'hanno strappata alla vita . Karl anche lui giovanissimo , l'aveva avuta da una cameriera di provincia , una ragazza che facilmente si concedeva ai frequentatori del locale dove lavorava . Ricordo quella notte ancora come fosse oggi . Il vento urlava con tutta la sua forza devastatrice , gli alberi si piegavano come foglie accartocciate su se stesse. Il cielo era scuro e senza stelle ma la luna faceva la sua bella mostra al centro dell'intera volta oscura e tenebrosa , brillando con lo splendore di mille soli . Karl ed io agitati, passeggiavamo per il corridoio nell'attesa di quella bambina così inaspettata , e così tremendamente in ritardo.
Sua madre mettendola alla luce perse la vita . Aveva urlato così tanto da inghiottire quasi completamente il suono implacabile del vento che infuriava fuori dalle finestre di quell'anonima stanza . Theresa aveva aspettato la luce per nascere . All'alba fece il suo ingresso in questo mondo . Il mio migliore amico assente l'osservava da lontano accasciato sulla soglia della porta . L'infermiera faceva cenno di venire a vederla, di ammirare quella creatura dall'ineguagliabile bellezza, ma lui non ce la faceva , non riusciva . Così fui io il primo a tenerla tra le braccia, il primo uomo che avesse mai visto , il primo uomo che avrebbe mai amato. Quegli occhi mi si infilarono come artigli nella carne , facendola a pezzi , lacerandola. Capii dal primo istante che senza quel corpicino tra le braccia sarei stato come un corpo morto , privo di vita . Ne avevo visti tanti fino ad allora e conoscevo bene il meccanismo inarrestabile della morte che si insinua nel momento in cui il muscolo cardiaco cessa di sbattere. Conoscevo bene l'espressione dipinta sui volti delle persone che avevo ucciso. Riposi Theresa nella culla . Guardai il riflesso nello specchio che avevo davanti . Riconobbi quello stesso sguardo , quella stessa freddezza mortale . Il mio cuore quasi cesso di scalpitare . Senza di lei ormai sapevo che non sarei stato più nulla .

Col tempo quell'amore incomprensibile, fatale, mi legava sempre più al fragile corpo di Theresa . Frequentavo la casa di suo padre , passavo ore ed ore , nei ritagli di tempo che il e lavoro mi concedeva ,contemplandola e vedendola crescere assieme al mio amico. Gli anni scorrevano veloci e Theresa diventava ogni giorno più bella . Compiuta la maggiore età, il gioco mortale dell'attrazione mi teneva sempre più stretto al suo esile e affascinante corpo candido , con un laccio saldo e arroventato. Mai avrei osato sfiorarla, malgrado non potevo nascondere un desiderio irrefrenabile verso di lei.
Ma fu proprio lei a condurmi verso di se . Ci amavamo follemente,fugacemente, oltrepassando i limiti del tempo, delle convenzioni delle consuetudini . Le strappavo baci bollenti , assaporavo giorno per giorno ogni sua essenza purificandomi dal male che compievo . Lei era il bianco ed io il nero. Lei era la rosa ed io le spine . Lei era le lenzuola stese ad asciugare al sole ed io la macchia . Lei era acqua cristallina ed io ero nero sangue. Pur sempre nella nostra antitesi, ci amavano nella nostra antitesi .
Karl quando lo scoprì non accettò tutto di buon grado , ma col tempo riuscii a dimostrargli davvero quanto amassi sua figlia . E me la concesse.
E poi venne Jacqueline .


Per il bene delle mie donne rinunciai alla mia attività di sicario. Durante l'ultimo anno mi lasciavo attraversare dalla vita , trasportare dagli eventi con una nuova consapevolezza speranza . Fino a quando quel maledetto giorno squillò quel maledetto telefono. Fino a quando quell'orribile giorno commissionai il mio ultimo omicidio .
Dovevo solo raggiungere King's Bar a due isolati dal mio appartamento. Entrarvi. Premere il grilletto e sparare contro la donna incappucciata con al collo un pendente nero a forma di stella, china su delle carte e ancora inebriata dall'aroma del suo caffè. E scappare . Un gioco da ragazzi , l'ultimo. Ma ancora non sapevo che sarebbe stata anche la fine della mia di vita. (Laura290495)
Quella notte non dormii quasi per niente e all’alba del giorno seguente iniziai a prepararmi. Cercai di far meno rumore possibile, Theresa non doveva sentirmi. Ripetetti per due o tre volte nella mia mente: ”Questo deve essere l’ultimo”.
Mi tremavano le mani, ero insicuro eppure non mi era mai successo prima.
Era soltanto un colpo di pistola, un maledettissimo colpo di pistola ma mi faceva paura. Paura di deludere l’unica persona che abbia mai amato veramente, l’unica persona che merita la massima protezione, l’unica persona che non si stancava mai di provare a migliorarmi, l’ unica persona che proteggeva ogni giorno me e la nostra piccola Jaqueline, l’unica persona che mi faceva innamorare ogni giorno della mia stessa vita.
<<John, dove stai andando?>> Ecco, Theresa si era appena svegliata.
<<Già sveglia? >> Cercai subito di cambiare discorso.
<< Anche tu sei sveglio da un po’ vedo… allora, mi rispondi? Dove stai andando?>>
<<Devo vedermi con tuo padre, mi ha chiamato ieri sera. Non so cosa voglia.>> Cercavo di non guardarla negli occhi ma lei si alzò di scatto dal letto e si avvicinò a me obbligandomi a guardarla.
<<Dimmi la verità… dove stai andando?>>
<< Sto andando da tuo padre, perché dovrei mentirti?>>
<< E perché ti avrebbe chiamato? Cosa vorrebbe da te? Lo sa che ormai non deve più chiedere il tuo aiuto…giusto?>>
<<Sì non preoccuparti. Io vado. Ci vediamo più tardi.>>
Theresa non rispose, continuò a fissarmi fino alla soglia della porta come se volesse seguirmi. La guardai per l’ultima volta negli occhi ma non riuscì ancora a dire niente. Scesi velocemente le scale e salii in macchina, controllai i colpi nella pistola e iniziai a guidare verso il King’s bar. Ero in anticipo; parcheggiai difronte al bar e aspettai che la signora incappucciata e col pendente a forma di stella arrivasse. Non sapevo il suo nome, la sua età, se avesse figli, se fosse sposata; nel mio lavoro non c’era spazio né per le domande né per le risposte. Nel mio lavoro si deve solo agire, immediatamente e senza scuse.
Circa mezz’ora più tardi, la vidi correre con passo veloce e guardandosi intorno, una signora con un cappuccio nero di mattina è facilmente identificabile.

La mia ultima vittima non era sola, era seduta ad uno dei tavolini infondo al locale con altri due uomini. Iniziai ad avvicinarmi lentamente restando indifferente al “Buongiorno, cosa desidera?” del barista.
Strinsi la pistola che era nella tasca interna della mia giacca.
“Forza Jhon, devi sono premere il grilletto e scappare, scappare più veloce che puoi!” .
<<Buongiorno!>>mi bloccai, quella era una voce troppo familiare.
Mi voltai velocemente e cercai di mascherare la mia faccia stupita.
<< Theresa, che ci fai qui?>> (carla.fila)

<< Potrei rivolgerti la stessa domanda. Sono qui solo a prendere un caffè,ci vengo spesso.>>
Non sapevo come replicare. Era una risposta che dovevo aspettarmi. In quel momento provai ansia,confusione,tormento. Volevo rispondere,rassicurarla,ma vedere quegli occhi castani che mi fissavano dubbiosi,non mi lasciava neppure la forza di aprire bocca.
<<John,stai bene? E dov'è mio padre? Non dovevi vederti con lui?>>
Volevo scomparire. Andarmene,fuggire via. Eppure ricomposi la mia espressione.
<<Stavo appunto andando da lui,quando mi sono ricordato di non aver fatto colazione,e questo era il bar più vicino. Ma ora non posso perdere tempo,mi starà aspettando. Ci vediamo stasera amore. >>
Non le diedi nemmeno il tempo di salutarmi,scappai da quel luogo e mi nascosi lì vicino,a riflettere. Non potevo deludere Theresa. Ma il mio mandante mi avrebbe trovato,e sicuramente avrebbe voluto vendicarsi. In fondo il lavoro era ben pagato e dovevo portarlo a termine. Per di più scappare era da vili,ed essere tale non è mai stata una mia caratteristica.
Quindi mi feci forza e attesi nascosto nell'ombra. Avevo deciso di aspettare che mia moglie uscisse dal bar,prima di fare qualsiasi cosa. Poi vidi la donna incappucciata aprire la porta d'ingresso del locale. Dovevo agire velocemente. Dovevo ucciderla lì. Le mie mani,sudate,tremavano nel momento in cui sparai quel colpo. Quel maledettissimo colpo. Come potevo sapere che sotto quel cappuccio nero si nascondeva la mia Theresa? Me ne accorsi troppo tardi. Quando,dopo essermi accertato che nessuno mi avesse visto sparare,mi avvicinai al corpo fingendomi un passante. E lei era lì.
Ero fermo dinanzi a ciò che rimaneva della donna che amavo,e non capivo come fosse accaduto. Come avevo fatto a non riconoscere quel cappotto,quel cappuccio nero? Era Theresa! Ma lei centrava qualcosa in questa storia? Le mie domande svanivano di fronte alla realtà. Avevo ucciso la mia più grande ragione di vita. Avevo ucciso me stesso. Il resto era solo un bisbiglio lontano. (Giorgia_)
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyGio Gen 27, 2011 6:12 pm

Ecco la lista dei nomi di coloro che hanno partecipato alla stesura del nostro racconto:
-il Guru;
-Sarita;
-Lulu;
-_Giuci_;
-Lunastorta;
-Black Star;
-LaDyF;
-Maria Grazia;
-Klaus;
-Flusk;
-misstittyluna;
-Ale_Infy;
-Lizzy;
-Sonia;
-Camilla;
-Kaze no Klonoa;
-Laura290495;
-carla.fila;
-Giorgia_.

Spero di doverla aggiornare presto.
Very Happy

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_Giuci_

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyGio Gen 27, 2011 9:43 pm

Sarita ha scritto:
Flusk ha scritto:
_Giuci_ ha scritto:
*__* ho una domanda...visto che io ho scritto due pezzi, prima di sapere che non si poteva, magari uno dei miei due può "passare" o "essere inglobato" in quello di qualcun'altro...
Ehm... Non ho capito... lol!

idem, potresti essere più chiara?

Nel senso che il mio nome apparirebbe due volte...e non mi sembra giusto visto che tutti hanno scritto una sola volta...magari, con il consenso dell'autore, il mio secondo pezzo potrebbe essere inserito come suo...è sempre un'ipotesi però
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyGio Gen 27, 2011 10:45 pm

_Giuci_ ha scritto:
Sarita ha scritto:
Flusk ha scritto:
_Giuci_ ha scritto:
*__* ho una domanda...visto che io ho scritto due pezzi, prima di sapere che non si poteva, magari uno dei miei due può "passare" o "essere inglobato" in quello di qualcun'altro...
Ehm... Non ho capito... lol!

idem, potresti essere più chiara?

Nel senso che il mio nome apparirebbe due volte...e non mi sembra giusto visto che tutti hanno scritto una sola volta...magari, con il consenso dell'autore, il mio secondo pezzo potrebbe essere inserito come suo...è sempre un'ipotesi però
Non sarebbe giusto far passare con il nome di un altro un pezzo scritto da te, ti trovi? E penso che anche gli altri preferirebbero scrivere un pezzo proprio, piuttosto che "usare" il tuo. Non preoccuparti, c'è stato solo un errore. Sono cose che capitano. Razz
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyVen Gen 28, 2011 12:23 am

Ha ragione Flusk, don't worry Surprised
Comunque è davvero bello... complimenti a tutti Surprised Surprised Ma alla fine Theresa era davvero colei che doveva essere uccisa?? La donna di cui parlava il mandante??
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MissTittyLuna

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyVen Gen 28, 2011 1:21 pm

Spero di si!! mi hai fatto venire un dubbio enorme:S
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyVen Gen 28, 2011 4:20 pm

MissTittyLuna ha scritto:
Spero di si!! mi hai fatto venire un dubbio enorme:S
Ragazzi, ci siamo!

Come va l'ansia?

Il Director


P.S.
...mancano appena 9 ore ! (hihihi!!!)
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyVen Gen 28, 2011 4:23 pm

il dito nella piaga...grazie guru! xD
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Giorgia_

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyVen Gen 28, 2011 4:34 pm

Laura Smile ha scritto:
complimenti Giorgia!Very Happy:*

Grazie La Smile Smile
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MissTittyLuna

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyVen Gen 28, 2011 4:46 pm

Ansia?! Terrore, Guru!! :S ahah
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Giorgia_

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 12 EmptyVen Gen 28, 2011 4:57 pm

Guru è cattivo Sad Vuole metterci ancorapiù ansia :S xD
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