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AutoreMessaggio
Klaus

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyMer Dic 22, 2010 10:11 pm

Mi alzai dal letto di scatto, quella notte, risvegliato dalla voce di Jacqueline che mi chiamava, due porte e un Inferno più in là della mia camera. Infilai frettolosamente le ciabatte e corsi da lei, come facevo da qualche tempo a quella parte ogni singola notte - credo da quando la leucemia aveva attecchito nel suo povero corpicino.
Come di consueto, era seduta sul letto, con il mento sulle ginocchia raccolte contro petto. Era scossa dai brividi, il sudore le imperlava la fronte, respirava affannosamente.
Sino a quando non era svenuta, mi ero illuso che tutto quel sudore e quella fame d'aria che dimostrava non fossero sintomi e questo, forse, avrebbe ostacolato - se non impedito - le cure per mia figlia. Se lei avesse abbracciato la sua mamma troppo presto, io non me lo sarei mai perdonato.
"Papà, Jacqueline ha fatto un brutto sogno..." sussurrò quando accesi la luce e chiusi la porta dietro di me nel tentativo di non disturbare ulteriormente Karl e la sua compagna. Mi sedetti sul bordo del suo letto e le presi una mano. Era orribilmente bagnata.
Aveva davanti mia figlia, tremante, fradicia di sudore e ansimante come l'avevo avuta davanti per tante altre notti prima di quella, e soltanto la settimana scorsa ho avuto il coraggio di portarla in ospedale, quando ha perso conoscenza tra le mie braccia e ho sentito il suo cuoricino palpitare troppo freneticamente.
"Non ti preoccupare, adesso c'è il tuo papà qui con te ed il brutto sogno è sicuramente fuggito via" la rassicurai, allungando la mano libera ad accarezzarle la fronte umida.
Jacqueline mi guardò con attenzione. Era una bambina estremamente intelligente, proprio com'era stata Theresa, che riconosceva subito ogni particolare fuori posto nel mio aspetto, come nella mia anima. "Anche tu stavi facendo un brutto sogno, papà?" Aveva visto le pesanti occhiaie sotto i miei occhi.
Facevo di tutto per dimostrarmi allegro in sua presenza, affinché non si preoccupasse e fosse felice come dovrebbe essere una qualsiasi bambina della sua età, ma quando poi scendeva la notte e mi ritrovavo solo con i miei fantasmi e con il mostro bianco in agguato accanto al letto di mia figlia non riuscivo a dormire più di qualche ora - quando ero molto fortunato.
"Sì, perché noi due condividiamo lo stesso cuore. Se la mia Jacqueline ha paura, anche io ho paura; se lei fa un brutto sogno, lo faccio anche io". Per una volta, volli accontentare la strana abitudine che aveva di parlare di sé in terza persona.
Lei sembrò contenta di quell'affermazione, perché si sporse verso di me e mi abbracciò.
"Papà, Jacqueline vorrebbe che tu dormissi con lei, questa sera..."
Oh, bambina mia, pregai mentre la stringevo con delicatezza, quasi rischiasse di rompersi ad ogni movimento brusco, ti prego, non morire. [11]




Un po' mi vergogno, siete tutti così bravi... >//<
Ma ci tenevo a mettere del mio! Very Happy

EDIT: a proposito, i sintomi della leucemia (eccessiva sudorazione, respiro affannoso, palpitazioni) li ho trovati su Wikipedia.
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Flusk

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyMer Dic 22, 2010 11:09 pm

Complimenti a tutti! Domani aggiungo il mio pezzo! Wink
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyMer Dic 22, 2010 11:38 pm

Quella sera dormii nel suo letto. Il mio angioletto si era calmato, aveva smesso di tremare e sudare e adesso dormiva profondamente tra le mie braccia. Il suo respiro e il battito del suo cuore erano tornati regolari. La tenevo stretta al mio petto, le accarezzavo i lunghi capelli biondi, come se facessi di tutto perché rimanesse su questa terra, perché non mi abbandonasse come aveva fatto Theresa. No, non era stata lei, non era stata Theresa ad abbandonarmi, ero stato io ad averle tolto la vita, era stata tutta colpa mia. Adesso però dovevo pensare a Jacqueline. Quella notte non riuscii a dormire, le tenevo gli occhi puntati addosso per vedere se tutto andava bene. Intanto riflettevo a ciò che quella maledetta mattina il medico mi aveva detto. "Sono spiacente ma le notizie non sono per niente buone" - mi disse - "so che sarà difficile da accettare ma...sua figlia ha la leucemia". "Ma come è possibile, a che cosa è dovuto?" - gli chiesi , lui mi disse - "Abbiamo fatto tutte le analisi possibili, ma non siamo riusciti a capire a che cosa sia dovuto." Continuavano a risuonare nella mia testa, non riuscivo a non pensarci.
La mattina seguente mi alzai dal letto presto, adagiai Jaky nel suo letto, la coprii con le lenzuola e andai a darmi una sciacquata. Avevo un'appuntamento con il medico, doveva chiarirmi alcune cose.
Salutai Karl e uscito da casa, salii in macchina: destinazione ospedale. Arrivato lì, aspettai il mio turno nella sala d’aspetto dell’ospedale. Era arrivato il mio turno. Mi si era bloccato il respiro. Salutai il dottore con una stretta di mano, e lui mi chiese quali erano le condizioni di Jacqueline. Gli spiegai che la sera precedente si era svegliata all’improvviso e che sudava, aveva i brividi e aveva il fiatone. “Dottor Jameson, c’è una cura per la leucemia?” Quella era una domanda che mi frullava nella testa da quando mi aveva detto della malattia. “Si. È il trapianto del midollo. Oppure se non fosse possibile si potrebbe optare per una terapia dalla quale non si può ottenere una completa guarigione, ma potrebbe allungarle la vita.” Ecco siamo arrivati al punto dolente. Come facevo a spiegarle cosa stava succedendo...


[12]
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Lunastorta

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyGio Dic 23, 2010 12:14 pm

Abbassai gli occhi, li tenni fissi sulle scarpe lucide del vecchio dottore.
Un giorno qualcuno mi aveva detto "John, sei un uomo solo..".
Aveva pronunciato queste parole con un sorriso amaro, tenendo in una mano un sigaro spento, nell'altra un camice candido ed una ventiquattr'ore.
Sorrisi anch'io, quella volta, all'affermazione stridula che avevo appena sentito uscire dalla bocca di quell'idiota. Non gli avevo neppure risposto, avevo tirato fuori la rivoltella e gli avevo sparato un colpo in testa.
Il mio compito era quello, nessun altro.
Theresa mi amava, mi aspettava a casa con una creatura minuscola fra le braccia che, sicuramente, un giorno mi avrebbe chiamato papà; avevo Karl, il mio migliore amico, il padre della mia principessa; e poi avevo me stesso, la persona di cui più mi fidavo.
Non ero un uomo solo. No, diamine, io non lo ero.

La strada verso casa fu dolorosa. Non ero riuscito, nello studio del medico, a prendere una decisione sensata: avevo avuto troppa paura. Ero consapevole del fatto che Jacky fosse troppo gracile ed esile per essere una bambina di sei anni, e probabilmente il suo corpicino non avrebbe retto un trapianto midollare. Eppure, la terapia sostitutiva al trapianto avrebbe portato ad un nulla di fatto.
Poggiai la schiena contro il primo muro che mi capitò vicino, e chiusi gli occhi.
La mia bambina, la mia unica bambina, stava morendo. Ed io stavo solo aiutandola a morire con le mie insicurezze, le mie incertezze ammuffite nel profondo.
"Il lavoro dell'assassino, mio caro amico, non si abbandona mai. John, sei e sarai sempre un uomo solo.."
La voce stridula di quell'idiota scoppiava nella testa.
Tirai un pugno al muro e le nocche della mano destra cominciarono a sanguinare.

Jacqueline, salva papà. Il tuo papà non riesce a salvare te.


[13]
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LaDyF

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyGio Dic 23, 2010 12:41 pm

Ragazzi questo è il nostro racconto...ognuno di noi ci ha messo un pezzetto del suo cuore. Sono orgogliosa di come sta venendo...è stupendo! Però manca un titolo! Smile

Il viaggio di ritorno era stato tormentato dai miei vecchi pensieri, dai rimorsi di coscienza che in tutti quegli anni non mi avevano mai abbandonato. Sull'ultimo tratto dell'Oceano l'aereo aveva ballato maledettamente per diversi minuti prima di trovare una più tranquilla rotta di avvicinamento verso il piccolo aeroporto della mia mai dimenticata città. Quelle turbolenze in mezzo a montagne di nuvole nere avevano scatenato in molti di noi comportamenti irrituali, animaleschi e in alcuni addirittura ridicoli. C'era chi chiudeva gli occhi ed invocava sottovoce un Dio amico e compassionevole; c'era chi, invece, rideva istericamente cercando di esorcizzare il senso di terrore che lo stava attanagliando e chi, come me, che in quei pochi minuti faceva il bilancio della propria vita...
Soltanto in quel momento si capiscono davvero gli errori fatti, le belle azioni e gli attimi mancati. Solo ora ti rendi conto che la vita è meravigliosa, che ogni attimo deve essere vissuto al massimo, sorridendo e godendosi anche i piccoli attimi. Una farfalla che stranamente ha scelto il tuo braccio come trespolo su cui stare, perchè emana un odore di dolce( forse quella caramella al miele che si è appiccicata sulla giacca), uno sprazzo di cielo azzurro in una giornata nuvolosa, il vento giocherellone che ti ha scompigliato i capelli e ti ha reso buffo/a, mentre tu cercavi di guardare sottecchi la persona amata, ma che non ricambia i tuoi sentimenti. Tutto mi passò per la mente, dai miei primi anni, all'adolescenza. Dal mio primo brufolo, al momento in cui sono diventato/a grande. Una cosa in particolare mi recava rimorso nel cuore,il non aver dato il mio ultimo addio alle persone a me care, il non aver detto ti amo al mio unico amore, il lasciare sole le persone che mi amano...gli amici, i parenti....quanto male fa al mio cuore tutto questo...ed intanto una lacrima scende, solitaria, come sono io su questo aereo.
Aereo maledetto, diretto in un posto maledetto. Jacqueline, nata senza preavviso, piccola e silenziosa. Un essere senza pretese, troppo fragile per far rumore. Jacqueline con quegli occhi trasparenti, velati e poi improvvisamente limpidi, e quella assurda voglia di ridere. Una risata e poi silenzio. E sarà forse silenzio ancora e ancora, solo silenzio, in quella stanza dove la luce si fa beffe della disperazione e i tentati sorrisi umiliano la speranza. Non farlo ti prego, per favore, me, non lei.
Guardo fuori. Accanto a me la luna, impressionante. Solo luce riflessa dicono. Eppure, la notte in cui nacque Jacqueline, ne sono assolutamente certo, la luna brillò!
Non so ben spiegare come, quando o perchè, ma chiusi gli occhi. Fu l'errore più grande della mia vita, perchè se prima avevo un piccolo appiglio alla realtà che mi impediva di sprofondare in me stesso, ora non c'era più. Buio, sangue, vittime e armi: tutto ciò aveva segnato la mia miserabile vita. Alcuni mi avrebbero definito un cacciatore di taglie, un assassino, alcuni più semplicemente un sicario, prendete per buona la definizione che preferite, ciò che contava in quel preciso istante non era dove sarei andato dopo la morte: no, non mi importava. Mentre sprofondavo nelle mie viscere in cerca di qualcosa di umano, rabbrividii ricordando lo sguardo docile e innocente di Theresa. I suoi occhi marroni mi avevano seguito ovunque da quella sera d'estate in cui la uccisi a bruciapelo, sempre velati di orgoglio e onore. La sua unica colpa era quella di essersi trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e io non mi ero mai lasciato influenzare dalle amicizie nel lavoro. Non ero mai potuto andare alla sua tomba, non avevo mai versato una lacrima, non potevo permettermelo. Suo padre lo sapeva, e non me lo aveva mai chiesto, neanche quando mi aveva scoperto con le mani macchiate con il sangue di sua figlia. In silenzio pregai per quell'anima strappata alla vita dalla mia pistola. E, ironia della sorte, era proprio lì che stavo portando mia figlia, da quell'uomo che era cresciuto con me, che mi aveva aiutato sempre, e al quale io avevo solo strappato il suo unico amore senza mai chiedere scusa.
Se fossi sceso sano e salvo da quell'aereo, avrei preteso per Jacqueline una vita diversa, umana, degna di questo nome. VITA.
Una voce squillante ruppe il flusso dei miei pensieri dolorosi.
"L'aereo AZ480 è atterrato. Si prega di slacciare le cinture, grazie."
Avevo sempre odiato le hostess. Le loro vocine squillanti e le loro maniere affettate mi avevano sempre, estremamente irritato.
Eppure stavolta mi ritrovavo sollevato nell'udirne l'avviso, così semplice e chiaro.
Cosa stava succedendo? Dov'ero diretto? Dove le mie mani sporche di sangue?
Slacciai la cintura con una mano, e con l'alta scostai i capelli sudati dalla fronte. Il mio abito elegante faceva letteralmente a pugni con l'espressione sconvolta e decisamente poco professionale che, ne ero certo, il mio volto aveva assunto.
Voltai il capo verso la bambina seduta al mio fianco. Era bella, esile, la carnagione chiara, i capelli color della paglia. Le sfiorai la manina candida, e lei rabbrividì. Aveva gli occhi chiusi, probabilmente dormiva, ed un paio di ciglia folte e chiare nascondevano due occhi meravigliosi. Il colore di quegli occhi, io non lo ricordo più.
Dove sei, Jacqueline? Io non ti vedo più.
"Siamo arrivati...?" Mi domandò con la sua vocina assonnata, stropicciandosi gli occhi con le mani chiuse a pugno. Tirai un lungo sospiro abbandonando per un istante il vortice dei miei pensieri, e voltandomi verso di lei abbozzai un sorriso che avrebbe dovuto rassicurarla.
"Sì, siamo arrivati." Ripetei lentamente, come una liberazione, e stringendo la fredda mano di Jacqueline la invitai ad alzarsi.
Quando fummo finalmente fuori dall'aereo tirai una boccata d'aria fresca, concedendomi un istante di relax. Ce l'abbiamo fatta, pensai.
Niente più nascondersi, niente più mentire, niente più fuggire...
C'eravamo solo io e la mia bambina, soli in una città contemporaneamente nuova e conosciuta.
Sarebbe bastato a cancellare i miei peccati? Era davvero possibile ricominciare?
Cancellare il passato in cerca di una nuova vita...
Era tutto ciò che desideravo, perchè almeno lei potesse vivere felice.
Presi a camminare muovendo lenti e pesanti passi, seguiti da quelli rapidi e allegri della bambina che tenevo per mano, che prendendo tutto come un gioco si ostinava a seguire il ritmo del mio passo. Lì per lì sorrisi alla cosa, poi ebbi paura.
Non imitare tutto ciò che faccio, Jaky. Papà non è una brava persona.
"Jacqueline non vede l'ora di giocare con il nonno!" Dichiarò lei felicemente, e io celai la mia angoscia dietro un teatrale sorriso.
"Non è bene parlare in terza persona..." "Ma a Jacqueline piace!"
Sbuffò, proclamando silenziosamente la fine di quella discussione. Era tanto testarda quanto fragile, la mia Jacqueline. Tanto astuta quanto dolce, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi...gli occhi...
Li osservai bene, quegli occhi, riscoprendoli marroni. E allora serrai i denti distogliendo subito lo sguardo; dicono che le iridi marroni siano le più comuni, ma quello sguardo l'avrei riconosciuto tra mille.
Jacqueline era tanto testarda quanto fragile, tanto astuta quanto dolce, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi marroni di Theresa.
"Cosa ci fai qui, John?". Inutile dire che la freddezza nel suo tono di voce mi fece sentire uno stupido, un completo idiota e una feccia umana, ma me lo aspettavo.
"Buonasera, Karl", dissi a testa bassa e stringendo la mano di Jaky, che avevo fatto nascondere dietro di me. Non perchè non mi fidassi di lui, ma per precauzione. Regola N. 1 per la sopravvivenza nella mia vita: NON lasciare mai nulla al caso. Sentendo che batteva un piede, chiamai a raccolta tutte le forze che avevo e alzai lo sguardo, incontrando la sua espressione truce. Dai suoi occhi uscivano fiamme color nocciola, che mi entrarono nel corpo paralizzandomi completamente. Non era cambiato molto nel corso di questi 4 anni. Stessi capelli scompigliati, stessi zigomi alti e labbra serrate dall'odio viscerale che provava per me.
"Da quando questa formalità con me? Eri o no il mio migliore amico?". Non risposi, perchè sapevo benissimo dove voleva arrivare: ferirmi nell'orgoglio. risparmia la fatica Karl, è già successo
"Rispondi", mi intimò serrando ancora di più le labbra.
"Si".
"E allora come hai potuto ucci...". Lo fermai e stringendo la presa feci vedere la mia bambina, sua nipote.
Paura, stupore, rassegnazione, odio e un barlume di tenerezza gli passarono sul volto in pochi istanti. Guardandomi negli occhi capì, e chiamò una ragazza (la sua compagna presumo) che prese Jaky e la portò nel piano superiore. Karl si girò e io lo seguii, notando che il dolore non lo aveva intaccato nel fisico. Mi avrebbe potuto stendere in un momento, se solo avesse voluto.
Così fece. Senza farmene neanche rendere conto mi atterrò con un pugno e mi piazzò un coltellino sulla gola, spingendo leggermente la lama.
"Cosa vuoi da me, John? Ti ho dato la mia amicizia un tempo, la MIA fiducia. Non ti è bastato vero? eri arrivato a 40 anni e non avevi una moglie, e io ti ho affidato MIA figlia...la mia Theresa, e come mi hai ripagato? Lo so io, portandomela via. aveva 19 anni John, capisci? Era un rischio affidarla a te, ma mi sono fidato. Beh non succederà più". Lo lasciai sfogare e trattenni il respiro. Quando ebbi la certezza che non mi avrebbe ucciso, gli dissi 4 parole che non avevo mai detto prima, a nessuno, neanche a lui.
"Ho bisogno di te"
Karl mi guardò negli occhi come non aveva fatto mai, dopo quel dannato quindici agosto di cinque anni fa.
Mi guardò, ed io rividi, in quelle intense iridi color ebano, il volto meraviglioso di Theresa.
La rividi bella, luminosa, nel giorno del nostro primo incontro. Danzava, Theresa, lasciando attorno a sé una scia di profumo dolciastro, facendo volteggiare da una parte all'altra del palcoscenico i suoi soffici capelli dorati. Volava nell'aria, Theresa, come una farfalla leggera. Il suo vestito scarlatto mi ricordò quello di Beatrice nel Purgatorio dantesco.
John, perché mi guardi così?
Rividi i suoi occhi, gli occhi di Theresa, gli occhi di mia figlia. Rividi Theresa sonnacchiosa; Theresa nervosa il giorno prima degli esami di maturità; Theresa emozionata la nostra prima volta insieme.
Dio, John, sei sbronzo...
Theresa meravigliosa, splendida nelle sue maniere da bambina; Theresa candida, trasparente come i vetri della casa che avremmo comprato assieme; Theresa impaurita, troppo giovane per diventare madre.
Allontanati, ti prego, mi fai paura...
Theresa piccola e grande; Theresa fragile e forte; Theresa.
NO, JOHN!
Theresa, ti prego, non far urlare il tuo ricordo più nella mia testa. Non potrei sopportare altro dolore.
Sto continuando a sprofondare nel mio lugubre Inferno. E quando ormai ero entrato in un vortice nero e buio dal quale difficilmente credevo di poter uscire fuori, ecco che vidi il volto del mio piccolo angioletto. Jacqueline. Lei, era sempre stata lei a darmi la forza di poter andare avanti, la voglia di ricominciare a vivere, la voglia di donarle una vita diversa, migliore da quella che attualmente le stavo offrendo io. Era stata lei a infondermi la forza di prendere una decisione così dolorosa e sofferta.
"Ti prego aiutami" - dissi a John - "ho bisogno di te". Mai come in quel momento la voglia di chiedere aiuto era stata tanto forte. Pensavo che chiedere aiuto volesse dire essere debole. Non avevo chiesto aiuto a nessuno, anche nelle situazioni più difficili e dure della mia vita, avevo preso decisioni solo ed esclusivamente da solo, senza il consiglio o l'incoraggiamento di nessuno. Potevo ancora chiamarla VITA, dopo tutte quelle atrocità che avevo commesso, dopo aver strappato la vita a tantissime persone. Quella era in assoluto la prima volta che chiedevo aiuto, e non ero sicuro che John me lo avrebbe dato.
Mentre il suo sguardo era fisso su di me, le lacrime cominciarono a scendere giù dai miei occhi. Ecco, provavo una cosa nuova. Anche il pianto era stato sempre per me un segno di debolezza. Ma ora era tutto diverso. Volevo sfogarmi, e di certo non potevo farlo con il mio angioletto. Non volevo rattristarla. John mi guardò con una espressione preoccupata e allo stesso tempo enigmatica. Sicuramente vedendomi in quello stato si stava chiedendo cosa fosse successo. In un certo senso mi sentii sollevato. Voleva dire che nonostante il dolore che gli avessi arrecato uccidendo Theresa, la nostra amicizia non l'aveva dimenticata. Di questo gli fui grato. Non penso che se mi fossi trovato al suo posto sarei riuscito a perdonare una cosa del genere. Con un filo di voce, probabilmente per non farsi sentire da Jacqueline e dalla sua compagna mi disse:"Karl che succede?". Le parole fecero fatica a uscire dalla mia bocca. "L'altra settimana Jacqueline non si è sentita bene ed è svenuta. Per vedere a che cosa fosse dovuto le ho fatto fare delle analisi" - non riuscivo più a continuare - "le hanno diagnosticato una forma iniziale di leucemia". Le lacrime non smettevano più di sgorgare dai miei occhi.
John mi guardava esterrefatto, era rimasto senza parole. "E' ancora piccola" - gli dissi - ha solo nove anni, come faccio a dirle che ha una malattia grave? Come faccio a trovare le parole giuste per parlarle?". John mi rispose "Sei sicuro che sia leucemia? Hai fatto rifare le analisi?". Gli risposi di si.
Come farei a vivere senza di lei, senza quei due grandi occhioni marroni che mi guardano, senza la sua dolce voce che mi chiama e il suo viso che mi sorride?.
Karl quella notte mi ospitò. Non volentieri, certo, ma disse chiaramente che non avrebbe permesso che una bambina, quella bambina, dormisse in un albergo qualunque. La mia stanza e quella di Jacqueline erano separate solo da due porte, ma a me sembravano già troppe. Nessuno poteva separarci. Nessuno poteva separarmi dall'ultima cosa che mi era rimasta di lei.
"Papà, me lo dai il bacio della buona notte?", come si poteva essere così attivi dopo una giornata così stancante ancora lo dovevo capire.
"Certo!"
Mi chinai sulla testolina delicata e le posai un bacio dolce sulla guancia.
"E me la racconti una storia?", pessima richiesta. Fa troppo male ricordare la propria, di storia; figuriamoci quella degli altri!
"Lo sai che non sono bravo...".
"Allora te la racconta Jacqueline!".
"Sentiamo", sorrisi indulgente e mi preparai a chissà quale assurdo viaggio nella mente di una bambina troppo fantasiosa.
"Non è di Jacqueline, però... La racconta la maestra quando siamo distratti. Dice che un signore che stava sempre a guardare il cielo un giorno era talmente distratto che non vide una buca e ci cadde dentro. Dice anche che non dobbiamo sempre stare con il naso all'insù altrimenti poi cadiamo in una buca...Ma ci sono buche così grandi in città?".
Jacqueline, Jacqueline. Sei la mia più grande domanda e la più esauriente risposta. E io passo troppo tempo a guardare il cielo. Sto per cadere in una grande buca. Ma se mi tieni tu la mano e mi guidi per la strada, di sicuro non cadrò.
Ti prego Theresa, perdonami. Solo per un po' dovrò smettere di ascoltare il tuo grido. Non posso permettere che l'ultima cosa buona che è rimasta di noi cada insieme a me. Devo proteggerla dal mostro bianco che sta in agguato nella buca e si chiama leucemia. Poi ti raggiungerò nel dolce oblio.
Mi alzai dal letto di scatto, quella notte, risvegliato dalla voce di Jacqueline che mi chiamava, due porte e un Inferno più in là della mia camera. Infilai frettolosamente le ciabatte e corsi da lei, come facevo da qualche tempo a quella parte ogni singola notte - credo da quando la leucemia aveva attecchito nel suo povero corpicino.
Come di consueto, era seduta sul letto, con il mento sulle ginocchia raccolte contro petto. Era scossa dai brividi, il sudore le imperlava la fronte, respirava affannosamente.
Sino a quando non era svenuta, mi ero illuso che tutto quel sudore e quella fame d'aria che dimostrava non fossero sintomi e questo, forse, avrebbe ostacolato - se non impedito - le cure per mia figlia. Se lei avesse abbracciato la sua mamma troppo presto, io non me lo sarei mai perdonato.
"Papà, Jacqueline ha fatto un brutto sogno..." sussurrò quando accesi la luce e chiusi la porta dietro di me nel tentativo di non disturbare ulteriormente Karl e la sua compagna. Mi sedetti sul bordo del suo letto e le presi una mano. Era orribilmente bagnata.
Aveva davanti mia figlia, tremante, fradicia di sudore e ansimante come l'avevo avuta davanti per tante altre notti prima di quella, e soltanto la settimana scorsa ho avuto il coraggio di portarla in ospedale, quando ha perso conoscenza tra le mie braccia e ho sentito il suo cuoricino palpitare troppo freneticamente.
"Non ti preoccupare, adesso c'è il tuo papà qui con te ed il brutto sogno è sicuramente fuggito via" la rassicurai, allungando la mano libera ad accarezzarle la fronte umida.
Jacqueline mi guardò con attenzione. Era una bambina estremamente intelligente, proprio com'era stata Theresa, che riconosceva subito ogni particolare fuori posto nel mio aspetto, come nella mia anima. "Anche tu stavi facendo un brutto sogno, papà?" Aveva visto le pesanti occhiaie sotto i miei occhi.
Facevo di tutto per dimostrarmi allegro in sua presenza, affinché non si preoccupasse e fosse felice come dovrebbe essere una qualsiasi bambina della sua età, ma quando poi scendeva la notte e mi ritrovavo solo con i miei fantasmi e con il mostro bianco in agguato accanto al letto di mia figlia non riuscivo a dormire più di qualche ora - quando ero molto fortunato.
"Sì, perché noi due condividiamo lo stesso cuore. Se la mia Jacqueline ha paura, anche io ho paura; se lei fa un brutto sogno, lo faccio anche io". Per una volta, volli accontentare la strana abitudine che aveva di parlare di sé in terza persona.
Lei sembrò contenta di quell'affermazione, perché si sporse verso di me e mi abbracciò.
"Papà, Jacqueline vorrebbe che tu dormissi con lei, questa sera..."
Oh, bambina mia, pregai mentre la stringevo con delicatezza, quasi rischiasse di rompersi ad ogni movimento brusco, ti prego, non morire.
Quella sera dormii nel suo letto. Il mio angioletto si era calmato, aveva smesso di tremare e sudare e adesso dormiva profondamente tra le mie braccia. Il suo respiro e il battito del suo cuore erano tornati regolari. La tenevo stretta al mio petto, le accarezzavo i lunghi capelli biondi, come se facessi di tutto perché rimanesse su questa terra, perché non mi abbandonasse come aveva fatto Theresa. No, non era stata lei, non era stata Theresa ad abbandonarmi, ero stato io ad averle tolto la vita, era stata tutta colpa mia. Adesso però dovevo pensare a Jacqueline. Quella notte non riuscii a dormire, le tenevo gli occhi puntati addosso per vedere se tutto andava bene. Intanto riflettevo a ciò che quella maledetta mattina il medico mi aveva detto. "Sono spiacente ma le notizie non sono per niente buone" - mi disse - "so che sarà difficile da accettare ma...sua figlia ha la leucemia". "Ma come è possibile, a che cosa è dovuto?" - gli chiesi , lui mi disse - "Abbiamo fatto tutte le analisi possibili, ma non siamo riusciti a capire a che cosa sia dovuto." Continuavano a risuonare nella mia testa, non riuscivo a non pensarci.
La mattina seguente mi alzai dal letto presto, adagiai Jaky nel suo letto, la coprii con le lenzuola e andai a darmi una sciacquata. Avevo un'appuntamento con il medico, doveva chiarirmi alcune cose.
Salutai Karl e uscito da casa, salii in macchina: destinazione ospedale. Arrivato lì, aspettai il mio turno nella sala d’aspetto dell’ospedale. Era arrivato il mio turno. Mi si era bloccato il respiro. Salutai il dottore con una stretta di mano, e lui mi chiese quali erano le condizioni di Jacqueline. Gli spiegai che la sera precedente si era svegliata all’improvviso e che sudava, aveva i brividi e aveva il fiatone. “Dottor Jameson, c’è una cura per la leucemia?” Quella era una domanda che mi frullava nella testa da quando mi aveva detto della malattia. “Si. È il trapianto del midollo. Oppure se non fosse possibile si potrebbe optare per una terapia dalla quale non si può ottenere una completa guarigione, ma potrebbe allungarle la vita.” Ecco siamo arrivati al punto dolente. Come facevo a spiegarle cosa stava succedendo...
Abbassai gli occhi, li tenni fissi sulle scarpe lucide del vecchio dottore.
Un giorno qualcuno mi aveva detto "John, sei un uomo solo..".
Aveva pronunciato queste parole con un sorriso amaro, tenendo in una mano un sigaro spento, nell'altra un camice candido ed una ventiquattr'ore.
Sorrisi anch'io, quella volta, all'affermazione stridula che avevo appena sentito uscire dalla bocca di quell'idiota. Non gli avevo neppure risposto, avevo tirato fuori la rivoltella e gli avevo sparato un colpo in testa.
Il mio compito era quello, nessun altro.
Theresa mi amava, mi aspettava a casa con una creatura minuscola fra le braccia che, sicuramente, un giorno mi avrebbe chiamato papà; avevo Karl, il mio migliore amico, il padre della mia principessa; e poi avevo me stesso, la persona di cui più mi fidavo.
Non ero un uomo solo. No, diamine, io non lo ero.

La strada verso casa fu dolorosa. Non ero riuscito, nello studio del medico, a prendere una decisione sensata: avevo avuto troppa paura. Ero consapevole del fatto che Jacky fosse troppo gracile ed esile per essere una bambina di sei anni, e probabilmente il suo corpicino non avrebbe retto un trapianto midollare. Eppure, la terapia sostitutiva al trapianto avrebbe portato ad un nulla di fatto.
Poggiai la schiena contro il primo muro che mi capitò vicino, e chiusi gli occhi.
La mia bambina, la mia unica bambina, stava morendo. Ed io stavo solo aiutandola a morire con le mie insicurezze, le mie incertezze ammuffite nel profondo.
"Il lavoro dell'assassino, mio caro amico, non si abbandona mai. John, sei e sarai sempre un uomo solo.."
La voce stridula di quell'idiota scoppiava nella testa.
Tirai un pugno al muro e le nocche della mano destra cominciarono a sanguinare.

Jacqueline, salva papà. Il tuo papà non riesce a salvare te.


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Lunastorta

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyGio Dic 23, 2010 10:32 pm

Che meravigliaaaaaaaaaa *-*
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Flusk

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 12:03 am

"Secondo me, dovresti consultare anche altri medici. Non che non mi fidi del dottor Jameson, è ovvio, ma forse dovresti ascoltare una persona più giovane, qualcuno che creda nella ricerca e nelle cure ancora sperimentali", mi aveva detto Karl quella sera, mentre si accendeva una sigaretta.
"Hai in mente qualcuno in particolare, vero?", gli chiesi. In tutta risposta, lui allungò la mano verso una pila di fogli di carta, ne prese uno e poi iniziò a scrivere qualcosa con una matita.
"Si chiama Rebecca Volpe. È nata in Italia, si è laureta in Gran Bretagna, specializzata in Francia e ha lavorato in Germania, Spagna, Svezia, Canada. È un' eccellente oncologa, ma è famosa per la sua piena fiducia nella ricerca e nelle cure ancora in fase sperimentale. Vive qui da un paio d'anni e lavora in una clinica privata a due ore di distanza da qui."
"Come la conosci?"
"È grazie a lei che mia sorella ha vinto la sua battaglia conto il cancro."
Per un attimo sentii il senso di disperazione che mi aveva tormentato nei giorni precedenti scivolare via. Le parole di Karl mi avevano regalato nuova speranza, nuova forza.
Fu così che il giorno dopo mi ritrovai in un piccolo studio della famosa clinica di Saint Louis ad aspettare impazientemente l'arrivo della dottoressa. I raggi del sole che illuminavano la stanza sembravano più luminosi del solito, il canto degli uccellini fuori dalla finestra più melodioso e l'aria più fresca. Sentivo che tutto sarebbe andato a finire per il meglio, che Jackeline sarebbe stata felice e...
"Buongiorno", mi salutò una voce femminile. "Lei dev'essere l'amico di Karl. A telefono mi ha parlato molto di lei."
Mi voltai e vidi che davanti a me si trovava una donna di massimo trent'anni, bruna e con gli occhi chiari, snella, non esageratamente alta, ma molto affascinante. Non poteva essere lei, la dottoressa Volpe. Era troppo giovane, aveva un sorriso da ragazzina... Sembrava una studentessa! "Io... Io stavo aspettando la dottoressa Rebecca Volpe."
La donna mi tese la mano. "Sono io. Piacere di conoscerla."
E fu così che sentii di nuovo il mondo crollarmi addosso.
(14)


Ultima modifica di Flusk il Ven Dic 24, 2010 3:45 pm - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 12:16 am

Spero che vi faccia piacere l'inserimento di un nuovo personaggio. Rolling Eyes
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 12:27 am

Flusk ha scritto:
Spero che vi faccia piacere l'inserimento di un nuovo personaggio. Rolling Eyes

Piacere? Piacerissimo, cara Flusk!...avanti così fino alla Befana ( ultimo giorno utile per concludere il racconto)

Il Guru
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celove

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 11:23 am

Per me un racconto è ciò ke si trova dentro di me. Quando scrivo è cm se mi trovassi all'interno di ciò ke scrivo,è cm se fosse un pò la storia della mia vita ke vuole trasmettersi agli altri per far sì ke anke loro possano conoscere quei personaggi ke esprimono almeglio tt le emozioni ke voglio trasmettere.
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 11:26 am

Director ha scritto:
Flusk ha scritto:
Spero che vi faccia piacere l'inserimento di un nuovo personaggio. Rolling Eyes

Piacere? Piacerissimo, cara Flusk!...avanti così fino alla Befana ( ultimo giorno utile per concludere il racconto)

Il Guru
Guru, possiamo scrivere anche più pezzi a testa? A Flusk piace tanto questo "gioco"! drunken
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 11:28 am

celove ha scritto:
Per me un racconto è ciò ke si trova dentro di me. Quando scrivo è cm se mi trovassi all'interno di ciò ke scrivo,è cm se fosse un pò la storia della mia vita ke vuole trasmettersi agli altri per far sì ke anke loro possano conoscere quei personaggi ke esprimono almeglio tt le emozioni ke voglio trasmettere.
A quanto pare sei nuova del forum. Benvenuta! Perchè non ti presenti nella sezione Chi Siamo? Conoscerai tante persone nuove con la tua stessa passione!
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 1:29 pm

Flusk ha scritto:
"Secondo me, dovresti consultare anche altri medici. Non che non mi fidi del dottor Jameson, è ovvio, ma forse dovresti ascoltare una persona più giovane, qualcuno che creda nella ricerca e nelle cure ancora sperimentali", mi aveva detto John quella sera, mentre si accendeva una sigaretta.
"Hai in mente qualcuno in particolare, vero?", gli chiesi. In tutta risposta, lui allungò la mano verso una pila di fogli di carta, ne prese uno e poi iniziò a scrivere qualcosa con una matita.
"Si chiama Rebecca Volpe. È nata in Italia, si è laureta in Gran Bretagna, specializzata in Francia e ha lavorato in Germania, Spagna, Svezia, Canada. È un' eccellente oncologa, ma è famosa per la sua piena fiducia nella ricerca e nelle cure ancora in fase sperimentale. Vive qui da un paio d'anni e lavora in una clinica privata a due ore di distanza da qui."
"Come la conosci?"
"È grazie a lei che mia sorella ha vinto la sua battaglia conto il cancro."
Per un attimo sentii il senso di disperazione che mi aveva tormentato nei giorni precedenti scivolare via. Le parole di Jack mi avevano regalato nuova speranza, nuova forza.
Fu così che il giorno dopo mi ritrovai in un piccolo studio della famosa clinica di Saint Louis ad aspettare impazientemente l'arrivo della dottoressa. I raggi del sole che illuminavano la stanza sembravano più luminosi del solito, il canto degli uccellini fuori dalla finestra più melodioso e l'aria più fresca. Sentivo che tutto sarebbe andato a finire per il meglio, che Jackeline sarebbe stata felice e...
"Buongiorno", mi salutò una voce femminile. "Lei dev'essere l'amico di John. A telefono mi ha parlato molto di lei."
Mi voltai e vidi che davanti a me si trovava una donna di massimo trent'anni, bruna e con gli occhi chiari, snella, non esageratamente alta, ma molto affascinante. Non poteva essere lei, la dottoressa Volpe. Era troppo giovane, aveva un sorriso da ragazzina... Sembrava una studentessa! "Io... Io stavo aspettando la dottoressa Rebecca Volpe."
La donna mi tese la mano. "Sono io. Piacere di conoscerla."
E fu così che sentii di nuovo il mondo crollarmi addosso.
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Che bello Flusk! Solo una cosa...Smile John è il protagonista, ed il suocero si chiama Karl xD
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 3:46 pm

Lunastorta ha scritto:


Che bello Flusk! Solo una cosa...Smile John è il protagonista, ed il suocero si chiama Karl xD
Ops! Scusate, mi sono confusa! lol! Comunque ora ho corretto.
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 3:49 pm

wow...pezzetto dopo pezzetto abbiamo già scritto così tanto?? O.o

comunque complimenti a tutti!!!!! sono molto orgogliosa di noi XD
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 3:54 pm

Il viaggio di ritorno era stato tormentato dai miei vecchi pensieri, dai rimorsi di coscienza che in tutti quegli anni non mi avevano mai abbandonato. Sull'ultimo tratto dell'Oceano l'aereo aveva ballato maledettamente per diversi minuti prima di trovare una più tranquilla rotta di avvicinamento verso il piccolo aeroporto della mia mai dimenticata città. Quelle turbolenze in mezzo a montagne di nuvole nere avevano scatenato in molti di noi comportamenti irrituali, animaleschi e in alcuni addirittura ridicoli. C'era chi chiudeva gli occhi ed invocava sottovoce un Dio amico e compassionevole; c'era chi, invece, rideva istericamente cercando di esorcizzare il senso di terrore che lo stava attanagliando e chi, come me, che in quei pochi minuti faceva il bilancio della propria vita...
Soltanto in quel momento si capiscono davvero gli errori fatti, le belle azioni e gli attimi mancati. Solo ora ti rendi conto che la vita è meravigliosa, che ogni attimo deve essere vissuto al massimo, sorridendo e godendosi anche i piccoli attimi. Una farfalla che stranamente ha scelto il tuo braccio come trespolo su cui stare, perchè emana un odore di dolce( forse quella caramella al miele che si è appiccicata sulla giacca), uno sprazzo di cielo azzurro in una giornata nuvolosa, il vento giocherellone che ti ha scompigliato i capelli e ti ha reso buffo/a, mentre tu cercavi di guardare sottecchi la persona amata, ma che non ricambia i tuoi sentimenti. Tutto mi passò per la mente, dai miei primi anni, all'adolescenza. Dal mio primo brufolo, al momento in cui sono diventato/a grande. Una cosa in particolare mi recava rimorso nel cuore,il non aver dato il mio ultimo addio alle persone a me care, il non aver detto ti amo al mio unico amore, il lasciare sole le persone che mi amano...gli amici, i parenti....quanto male fa al mio cuore tutto questo...ed intanto una lacrima scende, solitaria, come sono io su questo aereo.
Aereo maledetto, diretto in un posto maledetto. Jacqueline, nata senza preavviso, piccola e silenziosa. Un essere senza pretese, troppo fragile per far rumore. Jacqueline con quegli occhi trasparenti, velati e poi improvvisamente limpidi, e quella assurda voglia di ridere. Una risata e poi silenzio. E sarà forse silenzio ancora e ancora, solo silenzio, in quella stanza dove la luce si fa beffe della disperazione e i tentati sorrisi umiliano la speranza. Non farlo ti prego, per favore, me, non lei.
Guardo fuori. Accanto a me la luna, impressionante. Solo luce riflessa dicono. Eppure, la notte in cui nacque Jacqueline, ne sono assolutamente certo, la luna brillò!
Non so ben spiegare come, quando o perchè, ma chiusi gli occhi. Fu l'errore più grande della mia vita, perchè se prima avevo un piccolo appiglio alla realtà che mi impediva di sprofondare in me stesso, ora non c'era più. Buio, sangue, vittime e armi: tutto ciò aveva segnato la mia miserabile vita. Alcuni mi avrebbero definito un cacciatore di taglie, un assassino, alcuni più semplicemente un sicario, prendete per buona la definizione che preferite, ciò che contava in quel preciso istante non era dove sarei andato dopo la morte: no, non mi importava. Mentre sprofondavo nelle mie viscere in cerca di qualcosa di umano, rabbrividii ricordando lo sguardo docile e innocente di Theresa. I suoi occhi marroni mi avevano seguito ovunque da quella sera d'estate in cui la uccisi a bruciapelo, sempre velati di orgoglio e onore. La sua unica colpa era quella di essersi trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e io non mi ero mai lasciato influenzare dalle amicizie nel lavoro. Non ero mai potuto andare alla sua tomba, non avevo mai versato una lacrima, non potevo permettermelo. Suo padre lo sapeva, e non me lo aveva mai chiesto, neanche quando mi aveva scoperto con le mani macchiate con il sangue di sua figlia. In silenzio pregai per quell'anima strappata alla vita dalla mia pistola. E, ironia della sorte, era proprio lì che stavo portando mia figlia, da quell'uomo che era cresciuto con me, che mi aveva aiutato sempre, e al quale io avevo solo strappato il suo unico amore senza mai chiedere scusa.
Se fossi sceso sano e salvo da quell'aereo, avrei preteso per Jacqueline una vita diversa, umana, degna di questo nome. VITA.
Una voce squillante ruppe il flusso dei miei pensieri dolorosi.
"L'aereo AZ480 è atterrato. Si prega di slacciare le cinture, grazie."
Avevo sempre odiato le hostess. Le loro vocine squillanti e le loro maniere affettate mi avevano sempre, estremamente irritato.
Eppure stavolta mi ritrovavo sollevato nell'udirne l'avviso, così semplice e chiaro.
Cosa stava succedendo? Dov'ero diretto? Dove le mie mani sporche di sangue?
Slacciai la cintura con una mano, e con l'alta scostai i capelli sudati dalla fronte. Il mio abito elegante faceva letteralmente a pugni con l'espressione sconvolta e decisamente poco professionale che, ne ero certo, il mio volto aveva assunto.
Voltai il capo verso la bambina seduta al mio fianco. Era bella, esile, la carnagione chiara, i capelli color della paglia. Le sfiorai la manina candida, e lei rabbrividì. Aveva gli occhi chiusi, probabilmente dormiva, ed un paio di ciglia folte e chiare nascondevano due occhi meravigliosi. Il colore di quegli occhi, io non lo ricordo più.
Dove sei, Jacqueline? Io non ti vedo più.
"Siamo arrivati...?" Mi domandò con la sua vocina assonnata, stropicciandosi gli occhi con le mani chiuse a pugno. Tirai un lungo sospiro abbandonando per un istante il vortice dei miei pensieri, e voltandomi verso di lei abbozzai un sorriso che avrebbe dovuto rassicurarla.
"Sì, siamo arrivati." Ripetei lentamente, come una liberazione, e stringendo la fredda mano di Jacqueline la invitai ad alzarsi.
Quando fummo finalmente fuori dall'aereo tirai una boccata d'aria fresca, concedendomi un istante di relax. Ce l'abbiamo fatta, pensai.
Niente più nascondersi, niente più mentire, niente più fuggire...
C'eravamo solo io e la mia bambina, soli in una città contemporaneamente nuova e conosciuta.
Sarebbe bastato a cancellare i miei peccati? Era davvero possibile ricominciare?
Cancellare il passato in cerca di una nuova vita...
Era tutto ciò che desideravo, perchè almeno lei potesse vivere felice.
Presi a camminare muovendo lenti e pesanti passi, seguiti da quelli rapidi e allegri della bambina che tenevo per mano, che prendendo tutto come un gioco si ostinava a seguire il ritmo del mio passo. Lì per lì sorrisi alla cosa, poi ebbi paura.
Non imitare tutto ciò che faccio, Jaky. Papà non è una brava persona.
"Jacqueline non vede l'ora di giocare con il nonno!" Dichiarò lei felicemente, e io celai la mia angoscia dietro un teatrale sorriso.
"Non è bene parlare in terza persona..." "Ma a Jacqueline piace!"
Sbuffò, proclamando silenziosamente la fine di quella discussione. Era tanto testarda quanto fragile, la mia Jacqueline. Tanto astuta quanto dolce, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi...gli occhi...
Li osservai bene, quegli occhi, riscoprendoli marroni. E allora serrai i denti distogliendo subito lo sguardo; dicono che le iridi marroni siano le più comuni, ma quello sguardo l'avrei riconosciuto tra mille.
Jacqueline era tanto testarda quanto fragile, tanto astuta quanto dolce, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi marroni di Theresa.
"Cosa ci fai qui, John?". Inutile dire che la freddezza nel suo tono di voce mi fece sentire uno stupido, un completo idiota e una feccia umana, ma me lo aspettavo.
"Buonasera, Karl", dissi a testa bassa e stringendo la mano di Jaky, che avevo fatto nascondere dietro di me. Non perchè non mi fidassi di lui, ma per precauzione. Regola N. 1 per la sopravvivenza nella mia vita: NON lasciare mai nulla al caso. Sentendo che batteva un piede, chiamai a raccolta tutte le forze che avevo e alzai lo sguardo, incontrando la sua espressione truce. Dai suoi occhi uscivano fiamme color nocciola, che mi entrarono nel corpo paralizzandomi completamente. Non era cambiato molto nel corso di questi 4 anni. Stessi capelli scompigliati, stessi zigomi alti e labbra serrate dall'odio viscerale che provava per me.
"Da quando questa formalità con me? Eri o no il mio migliore amico?". Non risposi, perchè sapevo benissimo dove voleva arrivare: ferirmi nell'orgoglio. risparmia la fatica Karl, è già successo
"Rispondi", mi intimò serrando ancora di più le labbra.
"Si".
"E allora come hai potuto ucci...". Lo fermai e stringendo la presa feci vedere la mia bambina, sua nipote.
Paura, stupore, rassegnazione, odio e un barlume di tenerezza gli passarono sul volto in pochi istanti. Guardandomi negli occhi capì, e chiamò una ragazza (la sua compagna presumo) che prese Jaky e la portò nel piano superiore. Karl si girò e io lo seguii, notando che il dolore non lo aveva intaccato nel fisico. Mi avrebbe potuto stendere in un momento, se solo avesse voluto.
Così fece. Senza farmene neanche rendere conto mi atterrò con un pugno e mi piazzò un coltellino sulla gola, spingendo leggermente la lama.
"Cosa vuoi da me, John? Ti ho dato la mia amicizia un tempo, la MIA fiducia. Non ti è bastato vero? eri arrivato a 40 anni e non avevi una moglie, e io ti ho affidato MIA figlia...la mia Theresa, e come mi hai ripagato? Lo so io, portandomela via. aveva 19 anni John, capisci? Era un rischio affidarla a te, ma mi sono fidato. Beh non succederà più". Lo lasciai sfogare e trattenni il respiro. Quando ebbi la certezza che non mi avrebbe ucciso, gli dissi 4 parole che non avevo mai detto prima, a nessuno, neanche a lui.
"Ho bisogno di te"
Karl mi guardò negli occhi come non aveva fatto mai, dopo quel dannato quindici agosto di cinque anni fa.
Mi guardò, ed io rividi, in quelle intense iridi color ebano, il volto meraviglioso di Theresa.
La rividi bella, luminosa, nel giorno del nostro primo incontro. Danzava, Theresa, lasciando attorno a sé una scia di profumo dolciastro, facendo volteggiare da una parte all'altra del palcoscenico i suoi soffici capelli dorati. Volava nell'aria, Theresa, come una farfalla leggera. Il suo vestito scarlatto mi ricordò quello di Beatrice nel Purgatorio dantesco.
John, perché mi guardi così?
Rividi i suoi occhi, gli occhi di Theresa, gli occhi di mia figlia. Rividi Theresa sonnacchiosa; Theresa nervosa il giorno prima degli esami di maturità; Theresa emozionata la nostra prima volta insieme.
Dio, John, sei sbronzo...
Theresa meravigliosa, splendida nelle sue maniere da bambina; Theresa candida, trasparente come i vetri della casa che avremmo comprato assieme; Theresa impaurita, troppo giovane per diventare madre.
Allontanati, ti prego, mi fai paura...
Theresa piccola e grande; Theresa fragile e forte; Theresa.
NO, JOHN!
Theresa, ti prego, non far urlare il tuo ricordo più nella mia testa. Non potrei sopportare altro dolore.
Sto continuando a sprofondare nel mio lugubre Inferno. E quando ormai ero entrato in un vortice nero e buio dal quale difficilmente credevo di poter uscire fuori, ecco che vidi il volto del mio piccolo angioletto. Jacqueline. Lei, era sempre stata lei a darmi la forza di poter andare avanti, la voglia di ricominciare a vivere, la voglia di donarle una vita diversa, migliore da quella che attualmente le stavo offrendo io. Era stata lei a infondermi la forza di prendere una decisione così dolorosa e sofferta.
"Ti prego aiutami" - dissi a John - "ho bisogno di te". Mai come in quel momento la voglia di chiedere aiuto era stata tanto forte. Pensavo che chiedere aiuto volesse dire essere debole. Non avevo chiesto aiuto a nessuno, anche nelle situazioni più difficili e dure della mia vita, avevo preso decisioni solo ed esclusivamente da solo, senza il consiglio o l'incoraggiamento di nessuno. Potevo ancora chiamarla VITA, dopo tutte quelle atrocità che avevo commesso, dopo aver strappato la vita a tantissime persone. Quella era in assoluto la prima volta che chiedevo aiuto, e non ero sicuro che John me lo avrebbe dato.
Mentre il suo sguardo era fisso su di me, le lacrime cominciarono a scendere giù dai miei occhi. Ecco, provavo una cosa nuova. Anche il pianto era stato sempre per me un segno di debolezza. Ma ora era tutto diverso. Volevo sfogarmi, e di certo non potevo farlo con il mio angioletto. Non volevo rattristarla. John mi guardò con una espressione preoccupata e allo stesso tempo enigmatica. Sicuramente vedendomi in quello stato si stava chiedendo cosa fosse successo. In un certo senso mi sentii sollevato. Voleva dire che nonostante il dolore che gli avessi arrecato uccidendo Theresa, la nostra amicizia non l'aveva dimenticata. Di questo gli fui grato. Non penso che se mi fossi trovato al suo posto sarei riuscito a perdonare una cosa del genere. Con un filo di voce, probabilmente per non farsi sentire da Jacqueline e dalla sua compagna mi disse:"Karl che succede?". Le parole fecero fatica a uscire dalla mia bocca. "L'altra settimana Jacqueline non si è sentita bene ed è svenuta. Per vedere a che cosa fosse dovuto le ho fatto fare delle analisi" - non riuscivo più a continuare - "le hanno diagnosticato una forma iniziale di leucemia". Le lacrime non smettevano più di sgorgare dai miei occhi.
John mi guardava esterrefatto, era rimasto senza parole. "E' ancora piccola" - gli dissi - ha solo nove anni, come faccio a dirle che ha una malattia grave? Come faccio a trovare le parole giuste per parlarle?". John mi rispose "Sei sicuro che sia leucemia? Hai fatto rifare le analisi?". Gli risposi di si.
Come farei a vivere senza di lei, senza quei due grandi occhioni marroni che mi guardano, senza la sua dolce voce che mi chiama e il suo viso che mi sorride?.
Karl quella notte mi ospitò. Non volentieri, certo, ma disse chiaramente che non avrebbe permesso che una bambina, quella bambina, dormisse in un albergo qualunque. La mia stanza e quella di Jacqueline erano separate solo da due porte, ma a me sembravano già troppe. Nessuno poteva separarci. Nessuno poteva separarmi dall'ultima cosa che mi era rimasta di lei.
"Papà, me lo dai il bacio della buona notte?", come si poteva essere così attivi dopo una giornata così stancante ancora lo dovevo capire.
"Certo!"
Mi chinai sulla testolina delicata e le posai un bacio dolce sulla guancia.
"E me la racconti una storia?", pessima richiesta. Fa troppo male ricordare la propria, di storia; figuriamoci quella degli altri!
"Lo sai che non sono bravo...".
"Allora te la racconta Jacqueline!".
"Sentiamo", sorrisi indulgente e mi preparai a chissà quale assurdo viaggio nella mente di una bambina troppo fantasiosa.
"Non è di Jacqueline, però... La racconta la maestra quando siamo distratti. Dice che un signore che stava sempre a guardare il cielo un giorno era talmente distratto che non vide una buca e ci cadde dentro. Dice anche che non dobbiamo sempre stare con il naso all'insù altrimenti poi cadiamo in una buca...Ma ci sono buche così grandi in città?".
Jacqueline, Jacqueline. Sei la mia più grande domanda e la più esauriente risposta. E io passo troppo tempo a guardare il cielo. Sto per cadere in una grande buca. Ma se mi tieni tu la mano e mi guidi per la strada, di sicuro non cadrò.
Ti prego Theresa, perdonami. Solo per un po' dovrò smettere di ascoltare il tuo grido. Non posso permettere che l'ultima cosa buona che è rimasta di noi cada insieme a me. Devo proteggerla dal mostro bianco che sta in agguato nella buca e si chiama leucemia. Poi ti raggiungerò nel dolce oblio.
Mi alzai dal letto di scatto, quella notte, risvegliato dalla voce di Jacqueline che mi chiamava, due porte e un Inferno più in là della mia camera. Infilai frettolosamente le ciabatte e corsi da lei, come facevo da qualche tempo a quella parte ogni singola notte - credo da quando la leucemia aveva attecchito nel suo povero corpicino.
Come di consueto, era seduta sul letto, con il mento sulle ginocchia raccolte contro petto. Era scossa dai brividi, il sudore le imperlava la fronte, respirava affannosamente.
Sino a quando non era svenuta, mi ero illuso che tutto quel sudore e quella fame d'aria che dimostrava non fossero sintomi e questo, forse, avrebbe ostacolato - se non impedito - le cure per mia figlia. Se lei avesse abbracciato la sua mamma troppo presto, io non me lo sarei mai perdonato.
"Papà, Jacqueline ha fatto un brutto sogno..." sussurrò quando accesi la luce e chiusi la porta dietro di me nel tentativo di non disturbare ulteriormente Karl e la sua compagna. Mi sedetti sul bordo del suo letto e le presi una mano. Era orribilmente bagnata.
Aveva davanti mia figlia, tremante, fradicia di sudore e ansimante come l'avevo avuta davanti per tante altre notti prima di quella, e soltanto la settimana scorsa ho avuto il coraggio di portarla in ospedale, quando ha perso conoscenza tra le mie braccia e ho sentito il suo cuoricino palpitare troppo freneticamente.
"Non ti preoccupare, adesso c'è il tuo papà qui con te ed il brutto sogno è sicuramente fuggito via" la rassicurai, allungando la mano libera ad accarezzarle la fronte umida.
Jacqueline mi guardò con attenzione. Era una bambina estremamente intelligente, proprio com'era stata Theresa, che riconosceva subito ogni particolare fuori posto nel mio aspetto, come nella mia anima. "Anche tu stavi facendo un brutto sogno, papà?" Aveva visto le pesanti occhiaie sotto i miei occhi.
Facevo di tutto per dimostrarmi allegro in sua presenza, affinché non si preoccupasse e fosse felice come dovrebbe essere una qualsiasi bambina della sua età, ma quando poi scendeva la notte e mi ritrovavo solo con i miei fantasmi e con il mostro bianco in agguato accanto al letto di mia figlia non riuscivo a dormire più di qualche ora - quando ero molto fortunato.
"Sì, perché noi due condividiamo lo stesso cuore. Se la mia Jacqueline ha paura, anche io ho paura; se lei fa un brutto sogno, lo faccio anche io". Per una volta, volli accontentare la strana abitudine che aveva di parlare di sé in terza persona.
Lei sembrò contenta di quell'affermazione, perché si sporse verso di me e mi abbracciò.
"Papà, Jacqueline vorrebbe che tu dormissi con lei, questa sera..."
Oh, bambina mia, pregai mentre la stringevo con delicatezza, quasi rischiasse di rompersi ad ogni movimento brusco, ti prego, non morire.
Quella sera dormii nel suo letto. Il mio angioletto si era calmato, aveva smesso di tremare e sudare e adesso dormiva profondamente tra le mie braccia. Il suo respiro e il battito del suo cuore erano tornati regolari. La tenevo stretta al mio petto, le accarezzavo i lunghi capelli biondi, come se facessi di tutto perché rimanesse su questa terra, perché non mi abbandonasse come aveva fatto Theresa. No, non era stata lei, non era stata Theresa ad abbandonarmi, ero stato io ad averle tolto la vita, era stata tutta colpa mia. Adesso però dovevo pensare a Jacqueline. Quella notte non riuscii a dormire, le tenevo gli occhi puntati addosso per vedere se tutto andava bene. Intanto riflettevo a ciò che quella maledetta mattina il medico mi aveva detto. "Sono spiacente ma le notizie non sono per niente buone" - mi disse - "so che sarà difficile da accettare ma...sua figlia ha la leucemia". "Ma come è possibile, a che cosa è dovuto?" - gli chiesi , lui mi disse - "Abbiamo fatto tutte le analisi possibili, ma non siamo riusciti a capire a che cosa sia dovuto." Continuavano a risuonare nella mia testa, non riuscivo a non pensarci.
La mattina seguente mi alzai dal letto presto, adagiai Jaky nel suo letto, la coprii con le lenzuola e andai a darmi una sciacquata. Avevo un'appuntamento con il medico, doveva chiarirmi alcune cose.
Salutai Karl e uscito da casa, salii in macchina: destinazione ospedale. Arrivato lì, aspettai il mio turno nella sala d’aspetto dell’ospedale. Era arrivato il mio turno. Mi si era bloccato il respiro. Salutai il dottore con una stretta di mano, e lui mi chiese quali erano le condizioni di Jacqueline. Gli spiegai che la sera precedente si era svegliata all’improvviso e che sudava, aveva i brividi e aveva il fiatone. “Dottor Jameson, c’è una cura per la leucemia?” Quella era una domanda che mi frullava nella testa da quando mi aveva detto della malattia. “Si. È il trapianto del midollo. Oppure se non fosse possibile si potrebbe optare per una terapia dalla quale non si può ottenere una completa guarigione, ma potrebbe allungarle la vita.” Ecco siamo arrivati al punto dolente. Come facevo a spiegarle cosa stava succedendo...
Abbassai gli occhi, li tenni fissi sulle scarpe lucide del vecchio dottore.
Un giorno qualcuno mi aveva detto "John, sei un uomo solo..".
Aveva pronunciato queste parole con un sorriso amaro, tenendo in una mano un sigaro spento, nell'altra un camice candido ed una ventiquattr'ore.
Sorrisi anch'io, quella volta, all'affermazione stridula che avevo appena sentito uscire dalla bocca di quell'idiota. Non gli avevo neppure risposto, avevo tirato fuori la rivoltella e gli avevo sparato un colpo in testa.
Il mio compito era quello, nessun altro.
Theresa mi amava, mi aspettava a casa con una creatura minuscola fra le braccia che, sicuramente, un giorno mi avrebbe chiamato papà; avevo Karl, il mio migliore amico, il padre della mia principessa; e poi avevo me stesso, la persona di cui più mi fidavo.
Non ero un uomo solo. No, diamine, io non lo ero.

La strada verso casa fu dolorosa. Non ero riuscito, nello studio del medico, a prendere una decisione sensata: avevo avuto troppa paura. Ero consapevole del fatto che Jacky fosse troppo gracile ed esile per essere una bambina di sei anni, e probabilmente il suo corpicino non avrebbe retto un trapianto midollare. Eppure, la terapia sostitutiva al trapianto avrebbe portato ad un nulla di fatto.
Poggiai la schiena contro il primo muro che mi capitò vicino, e chiusi gli occhi.
La mia bambina, la mia unica bambina, stava morendo. Ed io stavo solo aiutandola a morire con le mie insicurezze, le mie incertezze ammuffite nel profondo.
"Il lavoro dell'assassino, mio caro amico, non si abbandona mai. John, sei e sarai sempre un uomo solo.."
La voce stridula di quell'idiota scoppiava nella testa.
Tirai un pugno al muro e le nocche della mano destra cominciarono a sanguinare.

Jacqueline, salva papà. Il tuo papà non riesce a salvare te.

"Secondo me, dovresti consultare anche altri medici. Non che non mi fidi del dottor Jameson, è ovvio, ma forse dovresti ascoltare una persona più giovane, qualcuno che creda nella ricerca e nelle cure ancora sperimentali", mi aveva detto Karl quella sera, mentre si accendeva una sigaretta.
"Hai in mente qualcuno in particolare, vero?", gli chiesi. In tutta risposta, lui allungò la mano verso una pila di fogli di carta, ne prese uno e poi iniziò a scrivere qualcosa con una matita.
"Si chiama Rebecca Volpe. È nata in Italia, si è laureta in Gran Bretagna, specializzata in Francia e ha lavorato in Germania, Spagna, Svezia, Canada. È un' eccellente oncologa, ma è famosa per la sua piena fiducia nella ricerca e nelle cure ancora in fase sperimentale. Vive qui da un paio d'anni e lavora in una clinica privata a due ore di distanza da qui."
"Come la conosci?"
"È grazie a lei che mia sorella ha vinto la sua battaglia conto il cancro."
Per un attimo sentii il senso di disperazione che mi aveva tormentato nei giorni precedenti scivolare via. Le parole di Karl mi avevano regalato nuova speranza, nuova forza.
Fu così che il giorno dopo mi ritrovai in un piccolo studio della famosa clinica di Saint Louis ad aspettare impazientemente l'arrivo della dottoressa. I raggi del sole che illuminavano la stanza sembravano più luminosi del solito, il canto degli uccellini fuori dalla finestra più melodioso e l'aria più fresca. Sentivo che tutto sarebbe andato a finire per il meglio, che Jackeline sarebbe stata felice e...
"Buongiorno", mi salutò una voce femminile. "Lei dev'essere l'amico di Karl. A telefono mi ha parlato molto di lei."
Mi voltai e vidi che davanti a me si trovava una donna di massimo trent'anni, bruna e con gli occhi chiari, snella, non esageratamente alta, ma molto affascinante. Non poteva essere lei, la dottoressa Volpe. Era troppo giovane, aveva un sorriso da ragazzina... Sembrava una studentessa! "Io... Io stavo aspettando la dottoressa Rebecca Volpe."
La donna mi tese la mano. "Sono io. Piacere di conoscerla."
E fu così che sentii di nuovo il mondo crollarmi addosso.
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 3:56 pm

_Giuci_ ha scritto:
wow...pezzetto dopo pezzetto abbiamo già scritto così tanto?? O.o

comunque complimenti a tutti!!!!! sono molto orgogliosa di noi XD
Siamo proprio bravi! cheers queen king
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 7:20 pm

BRAVA FLUSK!!!
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 7:21 pm

Flusk ha scritto:
Spero che vi faccia piacere l'inserimento di un nuovo personaggio. Rolling Eyes

Certo che si!
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyVen Dic 24, 2010 7:22 pm

Flusk ha scritto:
Director ha scritto:
Flusk ha scritto:
Spero che vi faccia piacere l'inserimento di un nuovo personaggio. Rolling Eyes

Piacere? Piacerissimo, cara Flusk!...avanti così fino alla Befana ( ultimo giorno utile per concludere il racconto)

Il Guru
Guru, possiamo scrivere anche più pezzi a testa? A Flusk piace tanto questo "gioco"! drunken

Ahahaha parli come Jacqueline! anche a me piace tanto! XD
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyDom Dic 26, 2010 11:54 am

ahahahahah sì io penso si possa fare, aspettiamo prima gli altri e poi magari nello sprint finale scriviamo qualcos'altro anche noi che abbiamo già scritto!! lol! Per il titolo penso sia meglio aspettare la fine del racconto, quando tutto sarà più chiaro!! Razz
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyDom Dic 26, 2010 12:11 pm

Lulu ha scritto:
ahahahahah sì io penso si possa fare, aspettiamo prima gli altri e poi magari nello sprint finale scriviamo qualcos'altro anche noi che abbiamo già scritto!! lol! Per il titolo penso sia meglio aspettare la fine del racconto, quando tutto sarà più chiaro!! Razz
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyDom Dic 26, 2010 5:52 pm

LaDyF ha scritto:
Flusk ha scritto:
Director ha scritto:
Flusk ha scritto:
Spero che vi faccia piacere l'inserimento di un nuovo personaggio. Rolling Eyes

Piacere? Piacerissimo, cara Flusk!...avanti così fino alla Befana ( ultimo giorno utile per concludere il racconto)

Il Guru
Guru, possiamo scrivere anche più pezzi a testa? A Flusk piace tanto questo "gioco"! drunken

Ahahaha parli come Jacqueline! anche a me piace tanto! XD

Assolutamente no!...per adesso si può scrivere un pezzo a testa ...dopo la Befana, si riunirà la Commissione e vi sarà comunicata la decisione .
( i tutor regionali hanno il compito di sensibilizzare i ragazzi a scrivere il racconto...Lulu o Flusk, invece, dovranno "incollare" ogni volta i nuovi contributi evidenziando alla fine l'autore.

Forza ragazzi...

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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyDom Dic 26, 2010 9:49 pm

Director ha scritto:
LaDyF ha scritto:
Flusk ha scritto:
Director ha scritto:
Flusk ha scritto:
Spero che vi faccia piacere l'inserimento di un nuovo personaggio. Rolling Eyes

Piacere? Piacerissimo, cara Flusk!...avanti così fino alla Befana ( ultimo giorno utile per concludere il racconto)

Il Guru
Guru, possiamo scrivere anche più pezzi a testa? A Flusk piace tanto questo "gioco"! drunken

Ahahaha parli come Jacqueline! anche a me piace tanto! XD

Assolutamente no!...per adesso si può scrivere un pezzo a testa ...dopo la Befana, si riunirà la Commissione e vi sarà comunicata la decisione .
( i tutor regionali hanno il compito di sensibilizzare i ragazzi a scrivere il racconto...Lulu o Flusk, invece, dovranno "incollare" ogni volta i nuovi contributi evidenziando alla fine l'autore.

Forza ragazzi...

Il Director, vostro unico Guru, altrimenti detto Mino



ehm..pardon maa...io ho già scritto un altro pezzo...che faccio??
Embarassed

magari mi fermo qui definitivamente? o devo cancellarlo?
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MessaggioTitolo: Re: Racconti in rete   Racconti in rete - Pagina 4 EmptyLun Dic 27, 2010 12:30 am

Lulu ha scritto:
ahahahahah sì io penso si possa fare, aspettiamo prima gli altri e poi magari nello sprint finale scriviamo qualcos'altro anche noi che abbiamo già scritto!! lol! Per il titolo penso sia meglio aspettare la fine del racconto, quando tutto sarà più chiaro!! Razz


quoto! Anche la mia prof. di italiano dice di dare il nome a un tema a un saggio sempre dopo averlo finito di scrivere!
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